Recensione: Dig In Deep

Di Luca Corsi - 16 Maggio 2012 - 0:00
Dig In Deep
Band: Tyketto
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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80

Nel lontano 1991, il panorama dell’Hard Rock, che di lì a poco sarebbe inavvertitamente piombato in un periodo di crisi compositiva e di vendite, poté avvalersi di una gemma tanto preziosa quanto poco considerata e precipitosamente accantonata come il debutto dei Tyketto, “Don’t Come Easy”.

La band americana, del New Jersey per la precisione, venne messa in piedi dal singer Danny Vaughn qualche anno prima dell’esordio discografico – nel corso del 1987 – subito dopo lo scioglimento degli hard rockers Waysted.
 
Forti di una miscela più unica che rara a base di puro Hard Rock a stelle strisce, un pizzico di country e una strizzatina d’occhio all’AOR – in particolar modo a quello più “acustico” di Jimmy Barnes, Heartland e REO Speedwagon – passando agevolmente dall’utilizzo delle chitarre elettriche a quelle acustiche – ma anche amalgamandole in una perfetta sintesi armonica – senza disdegnare un pacato e puntuale utilizzo delle tastiere, “Don’t Come Easy”, inizialmente sottovalutato, è divenuto nel corso degli anni una di quelle pietre miliari che ogni amanti dell’Hard, melodico e non, dovrebbe possedere.

Se una perla come il debutto non riuscì a scalare le classifiche, i successivi “Strength In Numbers” (1994) – pubblicato con due anni di ritardo per la difficoltà a trovare un’etichetta – e “Shine” (1995) – con Steve Augeri alla voce – passarono del tutto o quasi inosservati, scaturendo nell’inevitabile scioglimento.

Anche se già a partire dai primi anni 2000 circolarono alcune voci su una possibile reunion con il fondatore Vaughn, questa avvenne definitivamente nel corso del 2004, per poi riprendere l’attività live solo quattro anni dopo con la formazione originale dell’ersordio: Danny Vaughn dietro al microfono, Brooke St. James alla chitarra, Jimi Kennedy al basso, Michael Clayton alla batteria.

In quest’inizio di 2012, i fan del quartetto del New Jersey – per l’occasione appoggiati anche dal tastierista Bobby Lynch – possono finalmente gioire per il ritorno discografico dei loro idoli: “Dig In Deep”. Quarto full lenght uscito 17 anni dopo “Shine”, è un ritorno suonato e prodotto con perizia, principalmente volto a recuperare quella brillantezza compositiva e quella magica atmosfera che circondava il gruppo nel ’91.

Con l’opener “Faithless”, Vaughn e soci partono subito forte – come faceva, con le dovute proporzioni, anche la stupenda “Forever Young” – proponendo uno dei pezzi più robusti e combattivi degli undici proposti, dai riff molto moderni e incisivi partoriti dalla sei corde di St. James, e con un ritornello facilmente assimilabile, come da tradizione. Nel rispetto del sound “tipico” dei Tyketto, anche “Love To Love” si ritaglia un bel posticino tra gli episodi più riusciti, con quel mix elettrico-acustico sapientemente eseguito, come fanno del resto anche le successive “Here’s Hoping It Hurts” e “Battle Lines”, dalle tinte più AOR-oriented.

La chitarra di St. James abbandona momentaneamente i suoni più rilassati per concedersi uno sfogo di prepotenza nei riff iniziali di “The Fight Left In Me” ed “Evaporate”, per poi distendersi, in entrambi i casi, nella tranquillità e rilassatezza del ritornello.

Nessun ruggito da parte delle chitarre, invece, nella totalmente acustica e per giunta molto gradevole “Monday”, per sonorità decisamente opposta – ma non per questo inferiore a livello qualitativo – alla seguente title-track e “Sound Off”, che si lascia andare in un’ondata energica di puro Hard Rock.

La chiusura del lavoro è poi quanto mai riuscita: “Let This One Slide” – melodica e tenace al punto giusto – e, soprattutto, “This Is How We Say Goodbye” – stupenda ballad acustica che risalta ancor di più la calda voce di Vaughn – concludono con successo un disco già di per sé molto valido e riuscito.

Se “Don’t Come Easy” è ad oggi considerato uno dei dischi più belli degli anni ’90, questo “Dig In Deep”, pur non potendo avvalersi di un titolo così prestigioso, può benissimo essere considerato come la seconda miglior uscita nella carriera della band americana. Con il merito di aver saputo riproporre in parte quelle sonorità uniche dello storico esordio senza però risultare stantii, la nuova fatica dei Tyketto è uno di quegli album che più meritano di essere presi in considerazione in questa prima metà del 2012.
 
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Tracklist:

01. Faithless
02. Love To Love
03. Here’s Hoping It Hurts
04. Battle Lines
05. The Fight Left In Me
06. Evaporate
07. Monday
08. Dig In Deep
09. Sound Off
10. Let This One Slide
11. This Is How We Say Goodbye

Line Up:

Danny Vaughn – Voce
Brooke St. James – Chitarre / Cori
Jimi Kennedy – Basso / Cori
Michael Clayton – Batteria
Bobby Lynch – Tastiere

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