Recensione: Dirge for the Archons

Di Luca Montini - 7 Gennaio 2017 - 12:00
Dirge for the Archons
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Nonostante il moniker che sembra evocare tutt’altro genere, i Diabulus in Musica sono una giovane symphonic/gothic metal band spagnola che negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi un certo seguito, principalmente grazie ad un accorto e personale lavoro di cesellatura in un genere sempre più opaco e pieno di epigoni. Il diretto predecessore “Argia” (2014) era per molti versi un disco davvero eccellente, in senso letterale, che si ergeva in maniera egregia tra i consimili. Lo stile melodico ed evocativo era indubbiamente derivativo, ma alcune intuizioni fuori dagli schemi e la buona prestazione della cantante Zuberoa Aznárez, affiancata da limitate sezioni in growl del tastierista Gorka Elso, assieme ad un moderato uso di elettronica ed effetti moderni e personali, confezionavano quello che potrebbe essere definito come il disco della maturità per la band di pamplona. 
Dirge for the Archons” segue a due anni di distanza quel lavoro, accompagnato da un bell’artwork di Heilemania (Lindemann, Epica, Kamelot): riusciranno i nostri a riconfermarsi nella scalata all’Olimpo del metal sinfonico?

Dopo la breve intro atmosferica “Battle of Atlantis” da un minuto netto, i Diabulus in Musica entrano in modalità Epica e ci accolgono con una delle migliori proposte del lotto: “Earthly Illusion”, brano che tra cori, orchestra, riffing  pesante, blast beat e linee vocali melodiche ci ricorda molto da vicino la band olandese. Nonostante la carica imposta dal primo brano, le successive “Marble Embrace” ed “Invisible” (dalla quale è stato estratto un video), pur mostrando la solita pulizia e raffinatezza esecutiva, non riescono ad arrivare al bersaglio: due brani dalla struttura molto classica con ritornello telefonato, ed un growl decisamente sottotono nella prima. Comprensibile la scelta di realizzare un videoclip con “Invisible” proprio per questa prevedibilità che ne fa un brano radiofonico ed immediato. Pessima scelta, a mio modesto avviso: bisogna osare di più per eccellere.
Si torna su alti livelli di potenza con “Crimson Gale”, in cui viene finalmente dato il giusto spazio alla voce maschile, e con la successiva “Ring Around Dark Fairies’ Carousel”, in un’interessante giostra melodica che ci riporta ad un metal più operistico e cistercense, con tanto di fisarmonica negli intermezzi, come nel teatro nightwish-iano di “Imaginaerum” ma con una voce che è più Tarja che Anette.
Dalla danza alla ballad, “A Speck in the Universe” ci trasporta in un mondo melodico romantico, ma forse un po’ troppo freddo: nonostante il talento della Aznárez manca la infatti melodia vincente che evoca quel senso di trasporto emotivo che ogni ballata dovrebbe avere.
Nel mid-tempo “Hiding for You” i ragazzi ci propongono un genere più moderno, ai limiti dell’hard rock (ma sapientemente spezzato da una sezione in growl), con chitarroni e la voce maschile pulita ed un buon comparto elettronico, altro tratto distintivo dei Diabulus in Musica che finalmente riescono a scrollarsi di dosso paragoni con altre band.
Ancora bene con “The Voice of your Dreams”, brano che procede in un crescendo; azzeccatissimo il ritornello a ritmi sostenuti e finalmente un assolo di chitarra. Daje Alexey Kolygin, ci stavamo dimenticando di te.
Ci avviciniamo ad una chiusura abbastanza singolare, con la sciamanica “The Hawk’s Lament” che fa da preludio al mid-tempo “Bane”, altro brano in crescendo che parte a voce e chitarra acustica e procede addizionando via via tastiere, batteria, cori e quant’altro. Il metallo pesante ci saluta invece con “The River of Loss”, pezzo più ricco ed oscuro.
Riuscitissima chiusura per la solenne “Zauria”, brano in spagnolo che rende giustizia alle origini della band, in un addio decisamente cinematografico ed epico, quasi un invito a ricominciare daccapo l’avventura e premere di nuovo il tasto “play”.

Dirge for the Archons” è un album godibile e raffinato, che contunua ad aleggiare una spanna sopra la media dei dischi appartenenti al medesimo genere, ma che a mio avviso rappresenta un piccolo passo indietro rispetto al predecessore. Mi aspettavo forse qualcosa in più dagli iberici, giunti ormai al quarto album in carriera ed al decimo anno di attività. Una minor varietà della proposta (mancano brani davvero pesanti e la componente elettronica ne esce ridimensionata), combinata ad una discutibile strutturazione della scaletta che ne pregiudicano la coesione, pur trovandoci innegabilmente di fronte ad un prodotto onesto, ben composto, ben suonato e con qualche brano eccellente. Ottima anche la produzione, che supera tutti i precedenti lavori. Speriamo che i Diabulus in Musica perseverino nella ricerca di personalità, senza voler essere necessariamente qualcos’altro (Epica in primis), per emergere come questa band davvero meriterebbe. ¡hasta luego!
 

Luca “Montsteen” Montini
 

 

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