Recensione: Dissolution

Di Alessandro Marrone - 17 Febbraio 2020 - 0:00
Dissolution
Band: Sophist
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2020
Nazione:
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58

Freschi di formazione (nel 2019), dopo aver offerto alle sconsacrate ombre l’EP di debutto appena 7 mesi fa, il trio canadese dei Sophist non ha perso tempo e confezionato il full-lenght che ne segna ufficialmente l’esordio discografico. Si intitola Dissolution e va a collocarsi nell’immenso calderone del black, nonostante la band non neghi di voler sottolineare la propria caratterizzazione grindcore, peraltro suggerita anche dall’assenza di corpse paint e da uno stile più urbano rispetto a quanto vi aspettereste. Ma lo sappiamo, nel Nord America, il black non viene necessariamente percepito come nella vecchia e adorata Scandinavia e nonostante i testi nichilistici e il sound restino fedele al verbo, il lato estetico è quello che mette dentro le contaminazioni punk che alla fine dei giochi definiscono in toto il sound del gruppo.

L’attacco del disco è destinato a Solve Et Coagula, un brano che ha come unico obiettivo quello di trasformare la brutalità emotiva della band canadese in musica. Un modo come un altro per frustare i timpani lungo una delle poche tracce a svilupparsi in maniera tradizionale, poggiata su una batteria insistente e un muro di chitarre quasi dissonanti che si impastano sotto una voce più grave rispetto al solito e concentrata nel vomitare imprecazioni, anni luce distante da qualsiasi possibile similitudine con la parola melodia. Allo stesso modo ma con maggiore enfasi sulla brutalità di una ritmica ancora più frenetica, la successiva It Will All Vanish In An Instant incorpora tratti quasi punk e grindcore. La registrazione grezza e la produzione volutamente lo-fi mettono in luce il desiderio del gruppo di suonare come un ancestrale inno d’odio proveniente dal più remoto oltretomba e questo è infatti il modo migliore di approcciarsi alle seguenti e più brevi tracce di Dissolution. We Are Each Our Own Devil è a tutti gli effetti un latrato di appena 7 secondi che introduce Tearing Doves In Two, abile nel riprendere quanto introdotto a inizio disco e svilupparlo in un contesto ancora più caotico e sinistro. Legata a questo apparente uniforme trittico c’è anche Unholy Dissolver, più thrasheggiante – almeno all’inizio – e definitivamente pronta ad annichilire nel giro di pochi istanti. A suo modo, uno degli highlights indiscusso dell’intero disco.

Arrivati a questo punto, il sound dei Sophist è abbastanza chiaro essere una specie di caos cosmico, un black metal veloce, grezzo – anzi rancido – ma tutto sommato in grado di ritagliarsi un pizzico di originalità, proprio per come sappia mantenere fede alla sua stessa identità, senza per questo suonare troppo come qualcosa già prodotto da altri più di 30 anni fa. Il punto è – sarà abbastanza? Nell’apparentemente claustrofobico agglomerato sonoro gettatoci addosso dalle successive In Nihilum Redactus e Prima Clavis, c’è ancora spazio per un breve intermezzo: Watching From Below e per l’accoppiata finale di When Hyperventilation Turns To Aspiration, più articolata ma incapace di aggiungere nulla di nuovo a quanto giù sentito sinora. Si conclude con Crowning Achievement, ennesima sfuriata, che aggiunge un tentativo di solo di chitarra.

Dissolution non fa gridare al miracolo e se nei primi minuti il sound offertoci dalla band fa ben sperare per qualcosa di nuovo ma al tempo stesso ben legato alle radici del genere, si resta per non muoversi dallo stesso binario intrapreso con la prima strofa e il primo ingresso in scena della demoniaca voce di Hay. L’album suona ripetitivo e seppure non presenti una durata tale da farci premere il tasto STOP alla ricerca di qualcos’altro, il vero limite dell’esordio discografico dei Sophist sta nel fatto che sembra essersi concentrato esclusivamente nel cercare un tipo di identità, poi non sviluppata a dovere. Piaceranno ai più malinconici amanti dell’underground, ma non si sforzano molto per arrivare anche a coloro che avrebbero gradito almeno un paio di variazioni in quanto a old school black metal.

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