Recensione: Distant Dream

Di Stefano Ricetti - 1 Novembre 2020 - 14:28
Distant Dream
Band: Synthesys
Genere: Power 
Anno: 2020
Nazione:
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66

Distant Dream… più che un titolo un presagio. L’esordio dei palermitani Synthesys doveva avvenire, nella realtà ma soprattutto nelle loro intenzioni, nel 2003. All’epoca la band confezionò un Ep autoprodotto, The First Insight, contenente quattro canzoni a scopo per lo più promozionale. Tanto tanto lavoro, tanti scazzi e tanti sogni che vanno a concretizzarsi dentro un dischetto ottico nella speranza che poi esso vada a suscitare l’interesse di qualcuno. Si fa tutto quanto è nelle possibilità per spargere il verbo ma poi, inesorabilmente le giornate passano senza che nulla di significativo accada. All’entusiasmo e alla voglia di spaccare il mondo subentra lo scoramento, la delusione, che inevitabilmente mina i rapporti interni la band e spinge al distacco, quasi per esorcizzare un’operazione nella quale tanto si credeva e che poi non ha portato a nulla. Questa la trama del film classico adattabile a migliaia di gruppi in tutto il mondo. E ai Synthesis accadde proprio questo. Si sciolsero come neve al sole.

Oggi, grazie ai servigi della Underground Symphony, Distant Dream vede la luce, diciassette anni dopo l’infrangersi di quel sogno metallico in terra di Sicilia. La confezione nella quale trova alloggio il Cd è composta da un bel digipak a tre ante in cartonato massiccio con tutti i testi e le note tecniche mentre la foto della band trova spazio al di sotto del plastificato contenente il dischetto ottico.

Il disco si compone di otto tracce: le prime quattro appartenenti all’Ep del 2003 opportunamente rimasterizzate, a seguire due inediti e un paio di vecchi brani catturati in presa diretta in sala prove nel dicembre del 2019, a testimoniare il ritorno sulle scene dei Synthesys.

Dopo la stupenda, strumentale, “Odissea”, parte un viaggio attraverso quel Progressive Power Metal che proprio dopo il cambio di secolo visse una fra le parabole migliori della sua storia. Le idee, ai siciliani, non mancavano di certo, pezzi della portata di “Deeper Sight” e “Distant Dream” suonano ancora oggi accattivanti con la loro commistione fra potenza, cambi di tempo, atmosfera e melodia. Come spesso accade a un esordio, però, i brani denunciano quel pizzico di mancanza di malizia che solo una band attiva sulle scene può pian piano immagazzinare e poi riversare nelle proprie prove in studio, lavorando sui passaggi più acerbi.

In virtù di questo, Distant Dream più che un punto di arrivo può viceversa rappresentare un solido punto di partenza.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti   

 

 

 

 

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