Recensione: Dominion of Chaos

Di Alberto Fittarelli - 29 Novembre 2004 - 0:00
Dominion of Chaos
Band: Prejudice
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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72

Ecco uno di quei gruppi che costituiscono l’ossatura dell’underground, ed in
ultima analisi la linfa per l’intera scena metal: no, non sto sparando la
dichiarazione del secolo, dicendo che i Prejudice reggono da soli le
sorti del metal; sto però affermando che è difficile trovare un gruppo che sia
ancora così dedito, a livello quasi ossessivo, alla musica ed alla sua
presentazione live, con tutti i sacrifici che comporta il girare l’Europa senza
avere un grande “nome”.

Ed i belgi rientrano in pieno nella categoria: il gruppo è attivo da 11
anni, è costantemente in tour (in questo scorcio finale del 2004 sono
stati già 2 volte in un solo mese dalle nostre parti) e riesce finalmente, con Dominion
of Chaos
, a far sentire la propria voce a tutti gli appassionati del
brutal death, grazie ad una distribuzione finalmente appropriata. Questo perchè
i Prejudice sono al terzo full-length, e la cosa si sente: dal modo di
suonare, dalla tecnica acquisita, dalle influenze metabolizzate e dal buon mix
di sonorità, su cui prevale naturalmente l’influsso americano. Dominion of
Chaos
è quindi un disco che, se difficilmente sorregge la definizione di “Necksnapping
progressive brutal death metal”
, se non altro per un
“progressive” decisamente fuori luogo, ha tutte le carte in regola per
attrarre i fans di gruppi ben più celebrati: pezzi costantemente tirati,
strutture intricatissime, matematiche, e qualche reminescenza thrash sono le
caratteristiche principali di un album non sempre facile da assimilare.

Ma vale la pena di ascoltarlo con calma ed apprezzarne le doti, visto che il
lavoro svolto in fase compositiva è assolutamente notevole; brani come Suffer,
Destructive soul e Remains riassumono alla grande due decenni di
brutal death, aggiungendovi poco ma rimescolando le carte in modo abbastanza
personale. E servendoci potenza ed impatto al punto giusto, pur nella pressochè
totale omogeneità del sound. Un grande e vario lavoro alla batteria da parte di
Frank è la base su cui reggere riffs asfissianti, fantasiosi e mai
caotici, mentre lascia un po’ a desiderare il timbro vocale di Erik, che
dando l’impressione di essere “sfiatato” non riempie a dovere il suono
del combo, e la cosa si nota soprattutto nei numerosi stop’n’go: gli attacchi
risultano spesso troppo deboli, quanto al singer.

Ci resta comunque un platter di tutto rispetto ed un’attitudine da elogiare
sino in fondo: un gruppo che ha già detto molto, e che è ora di mettersi ad
ascoltare.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Suffer
2. Unobtrusive Hatebreed
3. Undecided
4. Obsolete
5. Destructive Soul
6. Convicted
7. Resolved
8. Remains

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