Recensione: Due 24 Years Carat Gold

Di Stefano Ricetti - 4 Giugno 2013 - 9:00
Due 24 Years Carat Gold
Band: Elektradrive
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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90

Evidentemente – e finalmente – la pluripremiata ditta Elektradrive di Simone Falovo & Co. da qualche tempo a questa parte ha deciso di dare nuovo smalto ai gioielli di famiglia. Operazione che è andata ben oltre la periodica lucidatura delle cromature, avvenuta per lo più in sede live, e che si è spinta fino alla ristrutturazione, cosa che se fatta una tantum in una carriera, analogamente all’abitazione di proprietà, ci sta alla grande. Dopo aver licenziato Big City nella livrea XX Anniversary è ora il momento di Due, disco che al momento della Sua uscita nel 1989 sotto l’egida della gloriosa Minotauro Records di Marco Melzi si beccò da nientepopodimeno che Dave Reynolds di Kerrang! ben cinque “K” di seguito, in pratica il classico 110 con lode della situazione. Notare che i paladini dell’hard rock britannico Whitesnake, guidati da quel sex symbol nonché fenomenale interprete melodico rispondente al nome di David “Dave” Coverdale si videro appioppare dalla allora Bibbia dell’heavy metal mondiale solamente tre “K” per il Loro Slip of the Tongue, disco che sulla carta doveva bissare gli Osanna dell’immenso “1987”.

Due 24 Years Carat Gold vede riproposte in versione remaster le nove tracce originarie, dopo il fine lavoro portato avanti da Beppe Crovella della Electromantic Music insieme con gli stessi ‘Elektra. L’edizione d’oro gode finalmente di una copertina cromaticamente degna del prodotto contenuto all’interno del dischetto ottico. La reissue si accompagna a un booklet curato nei minimi particolari di sedici pagine contenente: la genesi di Due, i testi delle canzoni, i ricordi dello stesso Crovella riguardo la lavorazione del disco, foto a go-gò della band sia in posa che dal vivo e memorabilia varia.

Per Simone Falovo (chitarra), Elio Maugeri (voce), Alex Jorio (batteria), Stefano Turolla (basso) ed Eugenio Manassero (tastiere) Due rappresentò il disco fondamentale della carriera, ove dimostrarono di aver veramente trovato una propria collocazione e soprattutto uno stile ben identificabile. Se il pezzo Lord of the Rings comparso all’interno della compilation Heavy Metal Eruption del 1983 fu quello che diede loro la visibilità a livello nazionale, Winner su Metallo Italia di due anni dopo confermò la Loro supremazia in ambito Hard. L’esordio ufficiale Over the Space sublimò il lavoro dei torinesi fra i solchi di un trentatré giri completamente proprio ma fu solamente dopo Due che gli “Italian Chic Rockers”, così come vennero definiti da certa critica internazionale,  riuscirono a conquistarsi il classico posto al sole, tanto che fecero da support act ai Manowar nella data taurinense del dicembre 1989.                    

24 Years Carat Gold si apre con la fottutamente vanhaleniana Back on the Road, che dimostra fin da subito la capacità degli Elektradrive nel sapiente uso delle tastiere, segue St. Valentine Day, pezzo dal bridge da urlo con riffing incalzante incorporato; Simone Falovo sugli scudi così come Mr. Maugeri. Sunset Boulevard è dedicata al sogno americano, come spesso accadeva anche per altri ensemble della penisola e si sviluppa in uno slow’n’roll intrigante fra stop’n’go di sicuro livello. Wild West tira la corda” fino all’impossibile prima di rivelarsi totalmente: trattasi di una semi ballad dal retrogusto country veramente particolare e originale (per l’epoca). Azzeccatissimi i delicati rimandi a quanto fece in ambito Western Sua Maestà Ennio Morricone. Right or Wrong rappresenta il tributo dei Nostri a una band come Aerosmith, chorus escluso. Subito dopo è la volta di A Man that got no Heart e sfido chiunque ad accorgersi che si tratti di un gruppo italiano: il brano è arioso e dall’appeal internazionale. Sicuramente uno degli highlight di Due, album dal titolo volutamente ambivalente, buono sia per l’inglese (Due to…) che per il più immediato significato per noi italiani. Segue la title track, un episodio altalenante che non colpisce come ci si aspetterebbe da un brano che dà il titolo a un album del genere, così come Magic Lamp, che passa senza lasciare il segno, nonostante l’ottima impostazione del coro. Si chiude quindi l’album con Dream On, un capolavoro di Class/Aor dalla prima nota di pianoforte à la Virgin Steele/Savatage fino all’ultima porzione di fiato elargita da Elio Maugeri. Probabilmente la top track di Due, disco che va (ri)scoperto a piccole dosi, gustandosi ogni singolo momento di ascolto.

Come scrisse il buon sopraccitato Reynolds il 7 ottobre 1989:

KATAKLYSMIK! Class is written through virtually every song on the record…

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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