Recensione: Dwelling Below

Di Daniele D'Adamo - 7 Gennaio 2024 - 0:00

E anche per i Dwelling Below giunge il momento della pubblicazione del debut-album, omonimo. Lo stesso anno della loro nascita, il 2023.

Di loro si sa poco, se non che trattasi dell’ennesimo progetto di Jared Moran, batterista/cantante il cui elenco di band cui ha partecipato e partecipa è incredibilmente lungo. Tutto underground, sia chiaro, in cui spiccano gli Acausal Intrusion, act cui fa parte anche Nicolas Turner, chitarrista. Pure lui dal curriculum che non sembra mai finire.

Con un pedigree simile, difficile pensare a un flop. Oppure a un qualcosa di indefinito, come se “Dwelling Below” fosse un tappabuchi per i rari, si pensa, istanti in cui i Nostri non siano presi dalle innumerevoli creazioni parallele. Eppure, a un primo passaggio, il disco sembra essere stato registrato a caso, figlio di un’improvvisazione pressoché totale.

Difficile stabilire dove sia la verità. Fatto sta che “Dwelling Below” è un tremendo coagulo di note di quelli che si trovano in giro raramente. In questo oceano di dissonanza si sviluppano quattro lunghe suite, in cui s’intersecano continuamente death e doom; fermo restando che l’appartenza è senza dubbio legata all’incedere estremo del metallo della morte. Un indicazione certa, almeno questa, poiché soprattutto dai ritmi tenuti da Moran, che sfondano spesso l’infuocata barriera dei blast-beats, si raggiugono i confini più lontani e sperduti del death metal.

Sperduti. Sì, giacché lo stile, non granché in quanto a originalità, assorbe emozioni e sentimenti per lanciare l’LP nelle più lontane zone dello spazio profondo. LP che macina note a profusione, quasi fossero enormi matrici di spinta atte a proiettare chi ascolta in uno spaziotempo caratterizzato da velocità prossime a quelle della luce. Un azzardo einsteniano per dare l’idea che, viaggiando fra i brani, il tempo pare si dilati, allungando a dismisura la durata del platter.

Una costruzione siffatta non può allora essere solo frutto del caso, ma di una precisa strategia elaborata dal terzetto statunitense per fare sembrare “Dwelling Below” più lungo di quanto non sia. Entrando nel dettaglio, i minuti totali sono pari a circa trentasette ma, procedendo nell’assimilazione dell’Opera, l’osservatore seduto su una sedia con gli speakers davanti a sé ha la percezione di sfiorare quasi l’ora, nel movimento da ‘Attraction Vulgarity’ a ‘Sheltered Acceptance’.

Questo per dire che si è davanti a un lavoro intenso, pieno di suoni, in cui il riffing della sei corde, parte ritmica, assume le dimenzioni di uno sterminato muro di suono. Parte solista, si dipanano assoli cacofonci che strappano la pelle, per quanto taglienti e numerosi. La voce di Moran si comprime in un growling assolutamente intellegibile, quasi fosse un sospiro, un sussurro emanato da una gola piena zeppa di caverne carnose. Anche se non pare, c’è anche il bassista, Anthony Wheeler, che però trasforma la sua invisibilità in materia oscura che avvolge le canzoni.

Insomma, “Dwelling Below” è roba per palati forti e menti sviluppate, data la sua intrinseca inesploralità. Anche girando per ore attorno alle song, difatti, non c’è verso di riconoscerle le une dalle altre. Il che declina sull’unico modo cui esso deve essere affrontato affinché il tutto abbia un senso: la globalità. Si entra da una parte qualsiasi, precipitando in un universo unicamente lisergico, ci si muove dentro per un periodo indefinito e poi si esce in qualche remota zona dello spazio sconfinato.

Per il suo strano modo di attrarre quasi emettesse onde gravitazionali, alla fine dei conti l’astrazione mentale dei Dwelling Below è un qualcosa che vale la pena di essere affrontata, lasciando per un attimo da parte il mero giudizio obiettivo.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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Genere: Doom 
Anno: 2023
70