Recensione: Echoes And Cinder
Gli Ancient Ascendant vengono definiti, in Patria, con toni forse eccessivamente trionfalistici, addirittura come «the future of English death metal».
In effetti la loro carriera è iniziata nel 2005 e, da allora, si sono susseguiti un demo (“The Path To Heaven”, 2008), tre EP (“The Heathen Throne”, 2008; “The Bleak Slumber”, 2010; “Into The Dark”, 2012) e due full-length (“The Grim Awakening, 2011; “Echoes And Cinder”, 2013). Data per scontata – alla base – l’innegabile indole posseduta dalle generazioni britanniche per il rock, pure nelle sue forme estreme, e la predetta esperienza; logico quindi attendersi una band davvero in grado di dire la sua in un ambito preda, invero, di altre realtà provenienti da paesi quali Polonia, Svezia, Finlandia, USA e, perché no, Italia. Un’esperienza che li ha condotti per gli stage più infuocati dell’Europa con mostri del tipo 1349, Bolt Thrower, Rotting Christ, Fleshgod Apocalypse e Blood Red Throne, tanto per dirne alcuni. Il che non significa necessariamente assorbirne le migliori qualità, anzi. Se non si è dotati di una grande personalità, alla fine si tende solo a clonare. Se a tutto questi poi ci si aggiunge il fatto che alla realizzazione di “Echoes And Cinder” ha collaborato il leggendario Dan Swanö (Opeth, Dissection, Dark Funeral, Bloodbath, Katatonia, Marduk), le attese per questo disco sono via via diventate enormi.
E, quando ciò accade, spesso e volentieri il risultato finale è un flop. Fattispecie, guarda caso, in cui ricadono proprio gli Ancient Ascendant e il loro “Echoes And Cinder”. Con un vizio di forma assai grave, nascosto proprio nella frase riportata all’inizio: lo stile in questione non è affatto ‘death metal’, quanto un’indefinibile e sua caotica mescolanza con il black. Senza, come dovrebbe accadere, che nessuno dei due generi prenda il sopravvento sull’altro. Così come buttata giù da Alex Butler e compagni, infatti, la musica del CD non riesce mai ad assumere una sembianza ben definita. Come se l’opera di triturazione e miscelazione del black e del death desse luogo a una creatura amorfa. Forse c’è predominanza del death, se si ascolta con attenzione “Caged In The Tunnels Of Time”. Forse c’è al contrario quella del black, in “Crones To The Flames”. Un’alternanza fuorviante, poiché oltre a svilupparsi fra brano e brano, avviene anche all’interno di essi. Senza contare le spruzzate di NWOBHM e thrash che non fanno altro che annebbiare ulteriormente le idee.
La mancanza d’iniziativa sulla direzione stilistica da intraprendere definitivamente, e senza tentennamenti, si riflette, come si può immaginare, anche nelle song. Impossibili da mettere in testa anche a passare e ripassare sul lettore “Echoes And Cinder” sino alla nausea. Certo, la perizia tecnica dell’ensemble di Reading è di tutto rispetto, ma pure essa pare remare nel verso contrario, contribuendo con le sue ridondanti variazioni sul tema a mandare stabilmente in confusione i neuroni di chi ascolta.
Di tutta l’opera si salva “Embers”. Che è la più breve nonché l’unica strumentale del lotto. Il che, in massima sintesi, ‘è tutto dire’.
Daniele “dani66” D’Adamo
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