Recensione: Echoes of the Soul

Di Daniele D'Adamo - 11 Giugno 2021 - 5:31
Echoes of the Soul
Band: Crypta
Etichetta: Napalm Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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78

Crypta, nato nel 2019, era il progetto secondario di Fernanda Lira, bassista e cantante delle Nervosa, già in piedi prima della fuga della stessa Lira da queste ultime, avvenuta l’anno scorso. Progetto secondario diventato ora principale, che comprende la batterista Luana Dametto, anch’essa transfuga dalla formazione delle thrasher brasiliane, oltre a Sonia Anubis e Tainá Bergamaschi alle chitarre.

Già con “Downfall of Mankind”, del 2018, si era potuto constatare, da parte delle Nervosa, un deciso processo di deathizzazione che le stava allontanando dal thrash nudo e crudo. Evidentemente le susseguenti divergenze musicali con Prika Amaral (chitarrista delle Nervose, NdR) sono diventate insanabili con che Crypta ha potuto divenire l’evoluzione finale e definitiva dell’idea musicale di Fernanda.

Come si può facilmente immaginare, “Echoes of the Soul” è il full-length di debutto, preceduto da un singolo soltanto (“Starvation”, 2021), ma che trova immediatamente il supporto di un’etichetta importante come la Napalm Records. Del resto, la storia Nervosa / Crypta ha avuto un notevole impatto mediatico in tutto il Mondo, per cui era lecito aspettarsi un forte appetito, da parte delle varie label – più o meno attrezzate, di accaparrarsi i servigi delle Crypta stesse. Ma siccome anche le Nervosa erano sotto Napalm, il resto è venuto da sé.

Per quanto riguarda lo stile, il combo tedesco/brasiliano offre un death metal allineato sulla linea dell’ortodossia. Come dire che non sono presenti contaminazioni di alcun genere. Death metal e basta, insomma, che non dà adito a introduzioni esterne atte a modificarne la classica impiantistica di base. Un gradito riscontro giacché, oggi, la corsa all’incrocio del genere natìo con altri elementi, eterogenei, pare non avere fine, anzi. Le Crypta no, sono fedeli alla linea dei Padri. E basta.

Come s’intravedeva in passato, il talento naturale della Lira le consente di raggiungere ottimi livelli qualitativi per quanto riguarda sia la voce, sia il controllo del suo basso. Linee vocali assai varie nel raccontare le tematiche del disco, che spaziano da un semplice tono stentoreo a growling profondi o harsh vocals che lacerano le carni (‘Starvation’). Assieme a esse, il rombo tonante del basso, appunto, sottofondo dalla potenza tremenda alle divagazioni della voce stessa e delle chitarre. La sezione ritmica si dimostra anch’essa multiforme in virtù del raggiungimento della maturità tecnico/artistica della Dametto, ineccepibile sia a torcere il tempo a bassi BPM, sia a scatenare la furia delle furie quando schiaccia a fondo il piede sull’acceleratore sfondando come un ariete la barriera dei blast-beats (‘Kali’).

Chi pensava potesse esserci un punto debole nel lavoro delle chitarriste dovrà ricredersi: Sonia Anubis e Tainá Bergamaschi svolgono anch’esse un lavoro eccellente sotto tutti i punti di vista. La parte ritmica è rocciosa, possente, arcigna, comandata da una selva di riff d’acciaio, resi granitici dalla tecnica del palm-muting (‘Shadow Within’). Ma, anche, da ficcanti assoli ben studiati e altrettanto bene inseriti nel contesto generale. Risultando, a volte, anche accattivanti per via di un’imprevista forma di melodia che accompagna i ricami della lead guitar (‘Possessed’, ‘Blood Stained Heritage’).

Niente male neppure le canzoni. Emerge più di una volta qualche elemento di unicità tale da renderle piacevoli da ascoltarle, data la rimarchevole tendenza a cercare, sempre e comunque, una soluzione atta a far vivere di vita propria ogni singolo episodio; come per esempio la devastante progressione che si può gustare in ‘Under the Black Wings’ o l’atmosfera che si può respirare in ‘Dark Night of the Soul’. Operazione che, oltre a rendere vivi tutti i brani, fa sì che si materializzi con forza uno stile davvero centrato, unico, che rimanda subito al mittente il death metal offerto a chi lo ha partorito. E questo, davvero, si tratta di un traguardo del tutto ragguardevole. Manca ancora il colpo da KO, la traccia memorabile, il segmento che buchi l’etere per andare a sedersi sulle più alte vette dell’abilità compositiva. Ma, a parere di chi scrive, si tratta solo di tempo. La follia scardinatrice, perlomeno, elemento primo del genere di cui trattasi, c’è già tutta (‘From the Ashes’), il che è da solo un ottimo viatico per il percorso a seguire.

Le Crypta, difatti, hanno in sé tutti gli elementi per sfondare, con la sola forza del loro death metal… puro, il muro che divide la mediocrità dall’eccellenza. Onore a loro e a “Echoes of the Soul”: il primo passo è compiuto!

Daniele “dani66” D’Adamo

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