Recensione: Electric

Di Stefano Burini - 22 Dicembre 2007 - 0:00
Electric
Band: The Cult
Etichetta:
Genere:
Anno: 1987
Nazione:
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88

Un album della caratura di ‘Electric‘ potrebbe essere facilmente descritto senza ricorrere ad un accurato track by track che con ogni probabilità finirà per annoiare il lettore correndo, inoltre, il rischio di non riuscire a rendere giustizia alla musica in esso contenuta.
Ad ogni modo tentiamo l’impresa, postillando il suggerimento apparentemente più banale: ascoltare il disco e lasciare che sia la musica stessa a parlare per sé meglio di mille parole.

Electric‘ rappresentò, per i The Cult, il completo compimento (nonostante il dark look ostentato in copertina) della già più che evidente conversione dalle sonorità goth/punk psichedeliche degli esordi ad un hard rock torrido ed energico alla maniera dei 70’s, nel quale, tra atmosfere riarse e richiami rock/blues, si distinguono i riff potenti e rockeggianti di Billy Duffy e la prova magistrale del grandissimo Ian Astbury che, pur non perdendo il vizio di emulare di tanto in tanto il King Lizard, si riconferma cantante e mattatore di gran classe, dallo stile molto personale e caratteristico.

Ascoltando più volte l’album è impossibile non constatare lo stato di grazia di tutta la band e i suoi effetti positivi su tutta la tracklist: ogni brano beneficia di riff pieni e di ritmiche dinamiche e coinvolgenti su cui si innestano una serie di melodie azzeccate e soprattutto longeve, esaltate da suoni corposi e vissuti al punto giusto, caratteristiche che hanno fatto la fortuna dei vari singoli estratti da ‘Electric‘ (“Love Removal Machine”, “Lil’ Devil” e “Wild Flower”) e che hanno contribuito in maniera determinante alla scalata delle classifiche inglesi (posizione numero 4) e americane (numero 38 di Billboard) nel 1987, con oltre tre milioni di copie raggranellate in tutto il mondo al termine di un tour che vedeva come gruppo spalla nientemeno che i Guns n’ Roses.

Da segnalare per assoluta bellezza il poker d’apertura introdotto dalla fiammeggiante “Wild Flower”, cui fanno seguito gli accenni punk di “Peace Dog”, l’hard blues di “Lil’ Devil” e il groove rovente di “Aphrodisiac Jacket” e della successiva “Electric Ocean”, nella quale pare addirittura di sentire echi del Page dei tempi d’oro.

Laddove “Bad Fun”, almeno nelle battute iniziali, diverte nel fare garbatamente il verso all’hard rock minimale dei primi settanta in virtù di una somiglianza piuttosto marcata con la celebre “Radar Love” dei Golden Earring, in “King Contrary Man” (grande assolo di Billy Duffy) e in “Love Removal Machine” tornano di nuovo in primo piano grandi riff di chitarra e azzeccate melodie dal gusto retrò; a seguire troviamo l’elettrizzante “Born To Be Wild” riuscitissima cover degli Steppenwolf riproposta dai The Cult in una versione metallizzata e ipervitaminizzata che ne aumenta a dismisura il potenziale distruttivo grazie anche al contributo di un Astbury aggressivo e perfettamente calato nella parte.

In coda troviamo “Outlaw” e “Memphis Hip Shake”, le quali, si mantengono ad altissimi livelli sia dal punto di vista della composizione che dell’esecuzione, grazie a grinta e passione da vendere e a un tiro assolutamente micidiale, proseguendo in maniera perfetta il discorso stilistico e contenutistico proposto da un album che, in virtù dell’oggettiva qualità e degli innegabili riscontri commerciali, va a ritagliarsi un posto d’onore nella discografia dei Cult e più in generale tra i capolavori dell’hard rock di quella decade.

Stefano “Joey Federer” Burini

Line Up:

Ian Astbury – Voce
Billy Duffy – Chitarre
Jamie Stewart – Basso
Les Warner – Batteria

Tracklist:

01 Wild Flower
02 Peace Dog
03 Lil’ Devil
04 Aphrodisiac Jacket
05 Electric Ocean
06 Bad Fun
07 King Contrary Man
08 Born To Be Wild
09 Love Removal Machine
10 Outlaw
11 Memphis Hip Shake

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