Recensione: Embrace the Awakening

Di Giovanni Picchi - 11 Dicembre 2025 - 11:00
Embrace the Awakening
Band: Mezzrow
Etichetta: ROAR
Genere: Thrash 
Anno: 2025
Nazione:
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Gli svedesi Mezzrow fanno parte di quelle numerose bands thrash e death metal che, scioltosi all’indomani della grande ecatombe che seppellì numerose realtà della scena europea e americana a colpi di black album e camicioni a quadri, si sono riformate negli ultimi anni per continuare quel discorso esattamente dal punto dove lo avevano interrotto, vuoi per una mai sopita passione per il genere trattato, vuoi anche, e soprattutto, per il proliferare di nuove etichette indipendenti che pongono nuova fiducia e interesse a queste realtà dove in precedenza major e case satelliti ne avevano persi (o chiusero i battenti). E la greca ROAR, etichetta indipendente entrata nel circuito della più grande Reigning Phoenix Music, ha messo sotto contratto la band per la pubblicazione del loro secondo album dopo il come-back del 2023 intitolato “Summon Thy Demons”, uscito per la Fireflash e ben accolto da pubblico e critica. Della formazione originale, che debuttò nel 1990 con l’acclamato “Then came the Killings” e che si sciolse tre anni dopo, sono rimasti il cantante Ulf “Uffe” Petterson e il bassista Conny Welén (ex Hexenhaus). Completano la formazione i confermati Magnus Söderman (Nightrage) e Ronnie Björnström (ex Aeon) alle chitarre e l’ultimo arrivato Alvaro “Alvis” Svanerö (Imperial Domain) alla batteria, che sostituisce John Skäre che aveva suonato in “Summon Thy Demons”.

I nostri sono rimasti fieramente ancorati alle origini: il genere non si è mosso di una virgola dal passato sia recente che lontano, per cui le nostre orecchie si trovano di fronte ai decibel di un thrash metal ortodosso e quadrato di stampo old-school tipico della Bay Area degli anni d’oro, con la sola eccezione di una produzione moderna ad opera della band stessa, all’altezza e assolutamente non “plasticosa” e finta. I rimandi a nomi quali Exodus, Forbidden, Testament, Defiance, Mortal Sin, Exhorder, Vio-lence e compagnia scapocciando si sprecano e, pur essendo una band di provenienza europea, è rimasta fedele agli stilemi provenienti da oltreoceano che in quel periodo influenzarono molto i nostri modi di vivere, di ascoltare musica e anche di vestire (basta vedere le foto dell’epoca della band tra capigliature folte, Kiodi, t-shirt delle band citate e le immancabili Reebok alte).

Questo “Embrace the Awakening”, con la splendida copertina ad opera di Pär Olofsson (Aborted, Exodus, Traitor), è certamente un’opera dal sapore rétro e manieristica, che non ha la pretesa di aggiungere niente di nuovo al genere ma che vuole colpire per un’attitudine legata fortemente a quella tradizione, con canzoni dirette che colpiscono duro e che per la maggiore riescono anche ad attirare attenzione e interesse ma che alla lunga ne costituiscono in parte anche il difetto di fondo. La struttura delle otto composizioni del disco, infatti, è la medesima senza alcuna variazione: breve incipit, strofa, bridge, ritornello e assoli, con questi ultimi che si inseriscono sporadicamente anche tra le varie strutture. Di fronte, quindi, ad una proposta del genere, tradizionale e non sperimentale, le canzoni devono risultare ben riconoscibili nelle melodie, che devono colpire già dai primi ascolti ed essere immediate: e così è per più della metà del disco. Se “Architects Of The Silent War”, Sleeping Cataclysm”, “Symphony Of Twisted Souls”, Foreshadowing” e in parte “The Moment to Arise” sono autentiche mazzate, caratterizzate da atmosfere cupe e pesanti, ritmiche veloci e dal tiro altissimo e soprattutto ben distinguibili le une dalle altre grazie ai refrain molto coinvolgenti e che promettono sfracelli in sede live, le restanti “In Shadows Deep” (il singolo apripista), Inside The Burning Twilight” e “Dominion Of The Dead”, anche se sono delle buone songs, non rimangono impresse come le prime quattro o cinque del disco: la prima citata risulta un po’ debole e alla lunga ripetitiva, soprattutto nel bridge e nel refrain, mentre le altre due, pur essendo veloci e potenti, non lasciano il segno. Non brutte, per carità, ma meno travolgenti delle prime. Il fatto poi che si tratta solo di otto canzoni per una durata complessiva di poco più di 35 minuti potrebbe far pensare ad una certa fretta di arrivare alla fine e pubblicare velocemente l’album. Anche i testi ricalcano grosso modo i cliché del genere, con continui rimandi generici a guerre, cataclismi, oscurità, rabbia, morte, potere, corruzione e inganno, senza riferimenti diretti a qualsivoglia realtà odierna.

Naturalmente a noi vecchi thrashers incalliti va bene così in quanto la sostanza non manca, soprattutto con un Uffe in gran forma (che a tratti mi ricorda Peavey Wagner dei Rage, verso i quali è presente qualche richiamo: ascoltate i refrain di Sleeping Cataclysm” o “Symphony of Twisted Soul” e poi ditemi); le chitarre sia nella parte solista che nella costruzione dei riffs sono potenti e precise e la base ritmica lavora sodo, con un plauso che va al nuovo acquisto “Alvis”, che si rivela veramente ottimo dietro le pelli. Certamente non sarebbe stato male osare qualcosa di più rendendo la proposta più varia e meno prevedibile, ma la sostanza “Metal” certamente non manca.

Visti i prezzi sempre più alti dei vinili, ho ordinato il cd, che peraltro ha un secondo dischetto con la registrazione del concerto tenutosi al Keep It True Festival del 2023, edito finora solo su singolo vinile, peraltro di non facile reperibilità. Buon ascolto.

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