Recensione: Emotional Creatures: part one

Di Mauro Gelsomini - 10 Giugno 2005 - 0:00
Emotional Creatures: part one
Band: Steve Thorne
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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70

Pochi conosceranno quest’artista inglese, forse per la sua apparizione nei Jadis, sicuramente non per la sua militanza nei Colony Earth o i The Salamander Project. Steve è un polistrumentista letteralmente innamorato del progressive rock romantico e d’atmosfera di cui ultimamente si sono fatti portabandiera Arjen Anthony Lucassen con i suoi Ayreon, gli Spock’s Beard, e, in particolare, il Neal Morse solista, forgiatisi sui modelli offerti in primis da Genesis e King Crimson.

Come ogni album solista che si rispetti, anche questa prima parte di un’opera intitolata “Emotional Creatures” è orientata all’intimismo, alla riflessione dell’autore su temi che spesso e volentieri possono sfociare nel puro New Age, tant’è vero che l’album in oggetto è pervaso dalle atmosfere oniriche e intimiste di un sound quasi ambient, del tutto spoglio di elettrificazioni (le chitarre “dure” fanno timidamente capolino solo nella penultima song, “Gone”) e difficilmente votato all’impatto di facile presa delle ritmiche tipicamente hard/metal, sebbene nelle due tracce centrali, “Last Line” e “Julia”, il lavoro dietro le pelli di Nick D’Virgilio si fa avvolgente e tellurico al contempo.
Anche la voce, portante in un lavoro del genere, si “preoccupa” esclusivamente di amalgamarsi alla pacatezza e il relax profusi dalla fitta rete di arrangiamenti tessuta dai sapienti synth, che ricordano non poco le atmosfere sintetiche dei primi due lavori degli Ayreon. Quindi non sentirete mai Thorne “urlare” o adoperarsi in elucubrazioni vocali particolarmente tecniche, anzi a dispetto di un calore che da’ i brividi, le melodie risultano spesso monocorde.
Poco male, direi, visto che le intenzioni liriche sono totalmente mantenute anche dal punto di vista sonoro, e se talvolta il nostro si avvicina pericolosamente a Peter Gabriel nell’interpretazione delle sue canzoni, o ironizza la ruffieneria patriottico-religiosa dell’ultimo Morse (il titolo della opener “God Bless America” la dice lunga), non farete fatica ad apprezzare il fatto che qualcuno ancora è in grado di comporre con l’emotività che fece grandi gli idoli di sempre, e con la classe dalla vena nostalgica capace di inserire, tra un synth liquido e l’altro robotico, quel moog in lontananza…

Oltre a tutti gli strumenti di cui si occupa personalmente Steve, compresi fiati e controcanti, il disco si fregia di collaborazioni preziose, quali quelle di Tony Levin (Peter Gabriel, King Crimson, Liquid Tension Expriment) al basso, Geoff Downes (Yes, Asia) alle tastiere, il già citato Nick D’Virgilio (Spock’s Beard) alla batteria, e ultimo ma non ultimo Danny Flynn, autore dell’intero artwork, già creatore dei disegni per il capolavoro di Arthur C Clarke “2001: Odissea nello spazio”.
Un disco che i prog-nostalgici devono assolutamente ascoltare. Rilassante.

Tracklist:

  1. Here They Come!
  2. God Bless America
  3. Well Outta That
  4. Ten Years
  5. Last Line
  6. Julia
  7. Therapy
  8. Every Second Counts
  9. Tumbleweeds
  10. Gone
  11. Goodbye

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