Recensione: Endless Elysian Fields

Di Daniele D'Adamo - 30 Ottobre 2015 - 22:59
Endless Elysian Fields
Band: Soijl
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2015
Nazione:
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74

L’embrione del duo svedese Soijl ha origine nel 2008, quando il polistrumentista (chitarra, basso, batteria, tastiere) Mattias Svensson fonda il proprio solo-project. Successivamente, l’anno scorso, si unisce a lui l’amico Henrik Kindvall per dare la voce al progetto così imbastito. E, soprattutto, per dare alle stampe “Endless Elysian Fields”, album di debutto uscito lo scorso 21 settembre per la label ultra-underground Solitude Productions.  

Contrariamente alla classica regola che vuole le one / two-man band dedite al black metal, il duo di Karlskrona s’immerge a profondità abissali nel doom. Un doom a volte atmosferico, spesso e volentieri melodico, che non disdegna di strizzare l’occhio a certo gothic della metà degli anni ’90. “Endless Elysian Fields”, difatti, è un lavoro che mira specificamente al lato emozionale della questione, lasciando da parte le mere dimostrazioni di potenza o di aggressività.  

Il sound è certamente duro e arcigno, come la roca ugola di Kindvall, tuttavia appare mirato a creare sensazioni e sentimenti struggenti, pregni di nostalgici richiami alle desolate lande del Nord Europa. Al freddo di limpide e silenziose notti stellate, come suggerisce il suggestivo e colorato disegno di copertina. Notti che, rivelando il mistero delle ombre lunari, paiono destinate ad affogare nel mare dei ricordi di un passato lontano, perduto per sempre nelle nebbie del tempo.     

In ciò, la forza evocativa dei Soijl è davvero di alto spessore: song come la triste e melanconica “Swan Song” sono dei minuscoli capolavori di arte figurativa applicata alla musica. La dolcezza delle melodie elaborate dalla coppia scandinava è una delle armi vincenti del platter, com’è facilmente dimostrato dalla title-track e, soprattutto, dalla splendida “The Shattering”; sospesa armonia che fluttua lentamente fra uno strato e l’altro dell’etere, lassù, in corrispondenza della ionosfera, ove guizzano le aurore boreali.

I Soijl, così facendo, cercano di uscire dai funerei cliché del doom classico esattamente allo stesso modo in cui l’eerie emotional music cerca di sfuggire alla tradizione black. Si cerca, cioè, di mantenere intatta l’anima primigenia che da trent’anni soffia nel corpo del genere, allontanandosi però dalla furia degli elementi. Mirando al raggiungimento di uno stato mentale più puro e meno contaminato dalla rabbia, dalla misantropia, nel nichilismo.

“Endless Elysian Fields” è un’opera dai toni dimessi, che in certi momenti fa abbandonare le braccia sui fianchi talmente è voluminosa la malinconia che sgorga dal cuore. Uno stato di coscienza che invero non è avvolto dal nero sudario del doom arcaico, o di quello cattivo: lo stile dei Soijl richiama parecchio il post-black e la relativa affinità con la Natura. Che, pur essendo arcigna e crudele, non è malvagia. Esattamente come il lievito fecondante le sette canzoni del disco.

Nel quale l’unico difetto percepibile è una non rilevante discontinuità qualitativa fra le canzoni stesse. Un po’ come in un cerchio aperto, i punti salienti sono l’inizio e la fine, “Endless Elysian Fields” e “The Shattering”, brani assolutamente fuori dalle righe. Il resto è assestato su livelli più che discreti ma, escluso “Swan Song” e “The Shattering”, presenta alcune battute a vuoto. Cioè, segmenti leggermente monotoni, probabilmente dovuti alla poca vita del progetto Soijl.

Un buon punto di partenza, comunque, foriero di un futuro denso di soddisfazioni. Per Kindvall / Svensson, e per chi ascolta.

Daniele D’Adamo

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