Recensione: Entanglement

Nati nel 2017, i Sun Of The Suns hanno pubblicato il loro debut-album, “TIIT”, nel 2021. Dopo quattro anni tocca al secondogenito, “Entanglement“, mostrare quanto siano capaci di viaggiare nel Cosmo, mediante un percorso impegnativo e stancante ma soprattutto straordinario.
Il propulsore che spinge il combo italiano nel suo iter stellare è il death metal, anche se piuttosto alieno dai dettami classici che lo definiscono nella sua versione classica. Seppur legati ugualmente in qualche modo ai suddetti contenuti musicali, lo stile dei Sun Of The Suns presenta, e non poteva essere altrimenti date le tematiche del disco, un grado di progressione notevole. Tale da produrre un sound modernissimo, intersecato, se si vuole andare un po’ più a fondo nella disamina, al modern metal, al metalcore e, ultimo ma non ultimo, al progressive.
Queste influenze, tuttavia, non spostano di un millimetro l’appartenenza della band alla grande famiglia del metallo della morte. E questo grazie, in primis, al furibondo growling di Luca Scarlatti, il quale percorre linee vocali dall’andamento rettilineo, nel senso che detto growling si mantiene costante, come interpretazione, lungo tutta la durata dell’LP. Un elemento fondamentale, questo, poiché infigge nel terreno la pietra miliare sulla quale è inciso il nome della formazione tricolore.
Detto questo, l’attenzione si sposta verso Marco Righetti (chitarra) e Ludovico Cioffi (Delain, Nightland, The Modern Age Slavery; chitarra, basso). Assieme, erigono un muro di suono imponente, i cui mattoni si possono assimilare ai pesanti accordi, stoppati e compressi per una distorsione perfetta, che delineano una sezione ritmica granitica, rocciosa. Sezione comprendente oltre a ciò la batteria di Francesco Paoli (Fleshgod Apocalypse), assolutamente di primo livello. Ma è nella parte dedicata agli splendidi assoli e alle luccicanti cuciture eseguiti con le tonalità più alte che prende vita l’anima che sostiene un stile del tutto personale. Ricco, soprattutto, di melodia.
Melodia che, grazie, anche, alle tastiere, pervade e avvolge morbidamente “Entanglement“, donandogli un aspetto piacevole da osservare per meditare sui misteri dello Spazio profondo. Quello che s’intravede nei telescopi più potenti, meta finale del mirabolante tragitto dei Nostri. Casa dei fenomeni quantistici in cui due o più particelle sono così strettamente connesse che non possono essere descritte singolarmente, ma solo come un unico sistema. Entanglement, appunto.
Un richiamo alla fisica dei quanti che regala all’album una dose di mistero e meraviglia. Del tipo di quando si è a dispetto delle incredibili strutture galattiche che popolano l’Universo. Ben descritte dalle canzoni che si srotolano come tappeti l’una dopo l’altra, per una continuità artistica di primissimo rango. La tecnica in ballo è ai massimi livelli, denotando un approccio totalmente professionale alla questione. Del resto la produzione, il missaggio e la masterizzazione a carico di Simone Mularoni presso i Domination Studio sono sinonimi di alta qualità. Il che consente di assorbire le varie tracce con la massima lucidità possibile, essendo irreprensibilmente intelligibili in tutto e per tutto.
Come detto, il cammino celeste che, da “Wanderer of the Cosmos“, porta a “Entanglement“, non mostra alcun intoppo. Anzi, prevede solo e soltanto tappe segnate da una grande musicalità e personalità. Come per esempio “On the Last Day of Earth“, furibondo attacco fonico sostenuto da micidiali bordate di blast-beats. O la maestosa “Please, Blackout My Eyes“, spaventosa botta di propulsione verso l’infinito, in cui si possono udire, pure, stop’n’go di matrice *-core. Entrambe, nondimeno, lasciano partire missili di melodie esplosive, come peraltro accade in tutta l’opera. Furore demolitore contrapposto ad ampi ed ariosi passaggi orecchiabili, senza che questi ultimi siano stucchevoli o, peggio, commerciali.
“Entanglement” è un lavoro di così alto livello tecnico/artistico, connesso direttamente a un talento compositivo elevato da parte della compagine romagnola, che produce, in chi ascolta, la voglia di ascoltare, ascoltare, ascoltare… per sfiorare l’agognato Infinito. Con ciò, francobollando i Sun Of The Suns come gradita sorpresa emergente, con deciso nerbo, dall’enorme territorio del metal estremo.
Daniele “dani66” D’Adamo

