Recensione: Evige Asatro

Di Daniele Balestrieri - 25 Dicembre 2004 - 0:00
Evige Asatro
Band: Glittertind
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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84

Evige Asatro, alt Livet elsker du!
Evige Asatro, aander liver i Alt!
Evige Asatro, Aere og Mod di Aet!
Evige Asatro elskelig dyb.

È l’ora, finalmente. Dopo tre demo realizzati in età adolescenziale e una passione smisurata per la propria terra, il giovane Torbjørn Sandvik esplode alle luci della ribalta con questo “Evige Asatro“, album cruciale che rimette in moto la grande ruota del metal norvegese, da troppo tempo incrostata di ruggine e muschio. E con che classe lo fa, un giovane abitante delle coste occidentali che decide di ergersi da solo come la grande montagna dalla quale prende il nome, immersa nell’imponente massiccio dello Jotunheim, cuore gelido e roccioso della Norvegia continentale. Torbjørn potrà anche avere 19 anni, ma il suo passato ha già molto da raccontare: due demo registrati con la forza di chi già suonava da 3 anni in cover band, e nonostante tutto voleva dire la propria nella scena, nonostante fosse ostacolato e negletto dai suoi coetanei che lo lasciarono da solo pur di continuare a suonare ciò che già altri avevano portato al successo. A forza di provare e riprovare, la prima luce comparve poco meno di due anni fa, quando registrò il terzo demo con nientemeno che Henri “TrollHorn” Sorvali, geniale compositore, arrangiatore e strumentista di band come Finntroll, Moonsorrow, Larhäryhmä e una miriade di progetti minori. Molte etichette si interessano al suo operato, tra cui Century Media e Karmageddon Records. Deciso quindi a iniziare la sua avventura proprio con quest’ultima, che dimostrò di apprezzare i suoi demo molto più di Century Media, Torbjørn “Glittertind” Sandvik esordisce con questo concentrato di fuorore romantico di nome “Evige Asatro” ( “per sempre devoto agli antichi dei” ).

L’album ha una intenzione molto chiara: a mò delle grandi menti che hanno scolpito la storia del metal norvegese, anche Glittertind si lancia contro la cristianizzazione della Norvegia, periodo che lui stesso definisce come “il punto più oscuro e sanguinoso” della storia della sua terra natia: degli uomini assetati di quel potere che non potevano ottenere nel proprio paese decisero di allearsi con la chiesa inglese per convertire nel sangue l’intera Scandinavia.
Ovviamente, questionabile è stata l’ipocrisia nei metodi utilizzati da questi sedicenti “ministri dell’amore di Dio”, i quali utilizzarono rinnegati e mercenari per ricoprire di sangue la terra norvegese uccidendo chiunque non volesse convertirsi, e portando in un popolo nel quale il rispetto dell’individuo era tenuto in grande considerazione atrocità come la tortura fisica e psicologica. Dal soffocamento per immissione di vermi nella gola fino alla morte per fame, dalla decapitazione su un ceppo ricoperto di becchi di gabbiano alla iconoclastia delle statuette degli dei pagani, i cristiani riuscirono a sottomettere un popolo e a distruggerne i templi per costruirvi chiese – eventi già denunciati con bruciante epicità dal Bathory di One Rode to Asa Bay ai Thyrfing, dagli Einherjer agli Amon Amarth. Tutto questo combustibile brucia nelle profondità di Evige Asatro, e porta alle orecchie brani di una freschezza e immediatezza dimenticata dai tempi degli Storm o del primo Vintersorg.

E proprio con uno degli avvenimenti più eclatanti della storia Vichinga si apre il corollario delle tredici tracce di Evige Asatro: “Lindisfarne – 793“. Strumentale di chiaro intento introduttivo, questa traccia rende perfettamente l’idea del mix aggressivo dei vari generi musicali dai quali attinge Glittertind – un metal veloce, misto a imponenti venature di punk, di speed e di folk di intimo splendore norvegese. L’intro ha il compito di caricare l’atmosfera dell’elettricità necessaria a far scattare l’ottimo attacco della seguente, “Karl den Store“, breve canzone dedicata a Carlo Magno, il quale decise, nell’VIII secolo d.C., di tentare l’unificazione dell’Europa del tempo sotto il segno del Cristianesimo. Legata strumentalmente e spiritualmente alla precedente, Karl den Store rappresenta una giustificazione pragmatica dell’inizio dell’epoca Vichinga e dei suoi assalti contro i cristiani d’oltremare: “state lontani dal nostro paese, non siamo pagani e non obbediremo ai preti stranieri” urla questa canzone, un buon esempio di metal veloce e di gusto, con una batteria molto convincente, delle chitarre ben bilanciate tra di loro e una voce pulita sì, ma con una venatura un po’ sporca che la rende immatura e al contempo unica, anche se di stampo lievemente punk.
La storia continua con il primo, commovente tributo alla sua terra: “Sønner av Norge” (figli della Norvegia). Questa è la riedizione in chiave metallica del primo inno nazionale norvegese, una iniezione di emozioni romantiche e storiche della quale molti norvegesi hanno perso la memoria: è intenzione di Torbjørn riportare la mente a quei giorni in cui il popolo norvegese ancora non era piegato sotto una bandiera a croce cristiana. Il riff, la melodia e la barbara epicità del cantato riportano con successo la mente a una canzone corale, frutto della voce di migliaia di persone unite da una fratellanza piuttosto che da una religione. Orecchiabile ma incalzante, solenne ma veloce, Sønner av Norge è il primo dei tanti esempi di una capacità di arrangiamento che avevo visto solamente tra le mani di mostri sacri come Fenriz, Satyr o Garm.
Solo tre minuti dopo l’album cala nell’oscurità medievale di “En Stille Morgen – 1349“, triste e lenta canzone che rievoca i momenti della terribile “morte nera”, la peste che percorse la Norvegia da nord a sud uccidendone due terzi della popolazione. La tragedia fu di proporzioni talmente vaste che causò addirittura la perdita della lingua scritta, visto che coloro che erano in grado di scrivere si adoperarono ad aiutare i moribondi, finendo anch’essi succubi del virus degenerante. Così, dall’antico Norvegese derivato dal Norreno, si passò a una lingua comprendente misti dialettali e influenze danesi, svedesi e tedesche. La drammaticità dell’evento risuona accuratamente nella chitarra acustica che riecheggia nel vuoto delle città, spazzate dal vento e dal tanfo della morte. Una specie di requiem, una canzone introspettiva che perde della dinamicità della precedente, fino a sfociare nella roboante epopea che porta il nome di “Fjellheimen gir meg Fred” (le montagne mi danno una sensazione di pace), in cui Torbjørn torna bambino, emozionato alla vista delle catene montuose che costellano la norvegia da nord a sud, e le donano l’aspetto selvaggio e maestoso che tanti musicisti hanno incantato, da Grieg agli Immortal, dai Dakthrone agli Asmegin. Un attacco palesemente in stile Hammerfall conduce l’intera canzone in una galoppata quasi power, brillante nella voce rotta dall’emozione e nel testo a tratti quasi ridicolo, che ricorda quanto sia un bene certe volte non comprendere le liriche delle canzoni. Elogio raggiante di Jotunheim e Rondane, i due massicci più imponenti della Norvegia, Fjellheimen gir meg Fred vede un Glittertind bambino correre sulla neve e sui prati, e lanciare serenate calorose ai picchi più alti e ai laghi più profondi, fino alla rottura un po’ fastidiosa della seguente “Olav Digre“, dedicata al santo che ebbe l’onta di riuscire a piegare la Norvegia al cristianesimo. Canzone un po’ trita e scialba, di sapore Einherjeriano, riporta una melodia marziale e ripetitiva e delle strofe poco musicali, che ben comunicano il disagio che desidera trasmettere Torbjørn all’ascoltatore, specialmente in visione dell’eccellente “Nordmannen” (l’uomo del nord), altro grande omaggio alla Norvegia dei troll e delle fiabe pagane. Ricordata anche nella famosissima versione degli Storm e nel prestigioso secondo capitolo degli Ulver di Bergtatt, Nordmannen presenta una “mellom bakkar og berg” vitale e cupa, che ben rappresenta le difficoltà della vita nel periodo più difficile della storia norvegese, periodo di pene e di sacrifici nei lunghi inverni, che mettevano a dura prova le tribù finché non sopraggiungeva la primavera, che con il suo stupefacente rigoglio legava ancor di più i figli della Norvegia alla propria terra. Canzone marziale, ipnotica, significativa, orgogliosa e nazionalista, che deriva direttamente dalla cultura popolare e quindi non è catalogabile come cover – o peggio plagio – delle versioni più famose già in circolazione.

Si prosegue con “Frostriket” (il regno del gelo), dall’apparato melodico adulto e discretamente complesso, che mostra un Torbjørn Sandvik alle prese con musica di un certo livello, veloce e ben composta, sempre a metà tra chitarre speed e percussioni decisamente tendenti al punk. La canzone illustra con strofe un po’ decadenti e sinistre la morsa del gelo che attanaglia i fiordi durante l’inverno, che fortifica il corpo e innalza lo spirito fino alla title track, “Evige Asatro“, sintesi Einherjeriana della discreta varietà dell’intero album, tra refrain potenti e una batteria purtroppo leggermente over-triggerata che riporta quella spiacevole sensazione di elettronico ben mistificata nelle restanti tracce.
La brillante ed eroica “Se Norges Blomsterdal” (osserva i campi fioriti della Norvegia), involontario tributo agli Ultima Thule di Resa Utan Slut, dichiara uno dei picchi qualitativi dell’album, investendo l’aria di ritmi pomposi, allegri e veloci come si confà a un certo tipo di musica celebrativa tipica della Germania. Non a caso l’ispirazione deriva proprio dalla canzone “Ein Jäger aus Kurpfalz” di A. Aabel, basata su un antico motivo germanico che dona un testo elettrizzante, una struttura melodica sopraffina e un valore culturale e tradizionale decisamente fuori norma, rendendo omaggio a quella elite culturale di Novalis, Schellig, Herder e dei fratelli Grimm che ebbero grande impatto nella Germania del 1700 e successivamente nella Norvegia dei nobili danesi di inizio 800. Un misto di ritmo e melodia incalzante che è un piacere per le orecchie, fino all’introspettiva “Om Kvelden” (di sera), di sapore Storm, che riprende la decadenza di “En Stille Morgen” e di “Frostriket”, e dipinge l’autunno desolante delle alture del nord della Norvegia, tra le ombre sempre più lunghe e l’aria sempre più fredda. Un cantato solitario, triste, accompagnato dalla sempiterna chitarra acustica, costruisce un’atmosfera notturna, fredda e funerea, ma allo stesso tempo epica e orgogliosa, mentre la voce indugia a ricordare le strofe più significative dell’ultimo lavoro di Falkenbach e perché no, anche degli Einherjer di Blot.
L’album teoricamente si interrompe con “Skumring“, una strumentale governata da una chitarra isterica e una struttura marziale, che dovrebbe rappresentare – con una certa difficoltà indubbiamente – il passaggio dal giorno alla notte, nella sua orgia di colori, di profumi e di luci eteree. Potrebbe senza dubbio essere una degna outro, se non fosse per la sorpresa finale – ovvero l’eccellente “Norges Skaal“.
Soprendente e gratificante, questa canzone “bonus” getta l’ascoltatore nella baraonda veloce e incalzante di una delle canzoni da bevuta più famose e antiche della Norvegia. Di dichiarato istinto patriottico e nazionalista, questa popolarissima canzone fu addirittura vietata dai dominatori danesi, poiché non era tollerabile che una nazione sottomessa fosse tanto fiera e orgogliosa delle proprie radici e del proprio lignaggio. Sotterrata quindi dal 1771 in poi, fu liberata all’alba del 1814, anno in cui la Norvegia ricevette la propria costituzione e si liberò delle catene oppressive della dominazione. Finale pomposo, allegro, che glorifica la bellezza delle donne e l’onestà degli uomini e di tutto ciò che creano, sia esso pane, birra o buoni sentimenti.
Con un grande, incalzante e ritmico Skål si chiude dunque l’epopea multiforme di Evige Asatro, brillante esperimento di una di quelle menti che credevamo sparite ai tempi dei “bambini prodigio” che formarono l’Inner Circle dei turbolenti anni ’90 norvegesi.

Spaziando tra culture centenarie e omaggi alla propria terra e alle proprie tradizioni, Torbjørn “Glittertind” Sandvik è riuscito a riesumare quella composta fierezza di cui la Norvegia sentiva davvero la mancanza, in un periodo dominato dal binomio Svezia – Finlandia. L’influenza inter-scandinava di questo giovane talento è stata sigillata da Skrymer dei Finntroll, il quale ha prestato la propria singolare matita alla copertina dell’album, che ricorda molto da vicino quelle degli amici Finntroll e ne sancisce probabilmente una collaborazione dalla quale non può che scaturire qualcosa di positivo.
Sentiremo molto parlare di Glittertind in futuro: diciannove anni e una classe destinata a occupare un posto da troppo tempo vacante in Norvegia. Un album forse leggermente acerbo e non interamente originale, ma composto da due sole mani: la consacrazione delle one-man band scandinave sta creando momenti musicali unici, e un fervore che renderà il futuro musicale decisamente degno di essere vissuto.

TRACKLIST:

01: Lindisfarne – 793
02: Karl den Store
03: Sønner av Norge
04: En stille morgen – 1349
05: Fjellheimen gir meg fred
06: Olav Digre
07: Nordmannen
08: Frostriket
09: Evige Asatro
10: Se Norges blomsterdal
11: Om kvelden når det mørkner
12: Skumring
13: Norges Skaal

Daniele ‘Fenrir’ Balestrieri

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