Recensione: Fabulous Disaster

Di Filippo Benedetto - 5 Luglio 2004 - 0:00
Fabulous Disaster
Band: Exodus
Etichetta:
Genere:
Anno: 1989
Nazione:
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80

Formatisi nel lontano 1981 ad opera di Gary Holt e Kirk Hammett (poi entrato a far parte in pianta stabile dei Metallica, in sostituzione di Dave Mustaine) gli Exodus esordiscono nel mercato discografico con il fulminante e dirompente thrash metal di “Bonded by blood” (del 1985), disco che ancora oggi viene considerato tra i migliori della discografia del combo statunitense. Dopo un secondo album, “Pleasure of the flesh”, che vide l’inserimento in line up del vocalist Steve Zethro Souza  al  posto dello scomparso Paul Baloff, la band sviluppò uno stile ancor più personale e ricercato con la produzione del terzo LP intitolato “Fabulous Disaster”. Proprio questo disco, oggetto qui di recensione, merita più di una nota di apprezzamento non solo per la qualità della musica proposta ma anche per quanto riguarda il concept che lo contraddistingue. Infatti, se nel primo full lenght le liriche facevano esplicito riferimento a tematiche molto violente, in questo album la band si cimenta in temi sempre molto “crudi” 

Apre il disco la potente e martellante “Last act in defiance”, brano dove la sezione ritmica gioca un ruolo fondamentale nel sorreggere un tagliente riffing. La voce di Suza ringhia come non  mai, soprattutto nel refrain in cui il riffing si fa più serrato e il drumming ulteriormente ossessivo. La successiva “Fabulous Disaster” dimostra eloquentemente quanto “maturato” sia l’approccio al thrash da parte del gruppo. Le ritmiche, precise e efficaci, disegnano la “corposa” struttura del brano espresso da un ragliente riffing di base.
“Toxic Waltz” non attenua la carica adrenalinica espressa finora, convogliandola in un riffing più ragionato ma sempre diretto e coinvolgente. La voce graffiante di  Steve Souza funge, qui, da elemento trascinante del resto degli strumenti, soprattutto nel refrain che si stampa facilmente in testa. Ad aggiungere ulteriore lustro a questa traccia intervengono  gli assoli tanto pregevoli e ben impostati quanto mai dissonanti.  Un’atipica intro per percussioni dà inizio alla successiva “Low Rider”, track qualificata da un drumming cadenzato sul quale si stende un riffing nuovamente ragionati ma allo stesso tempo svolti in maniera lineare e semplice”. Il brano così costruito forse soffre di una eccessiva ripetività, ma si lascia ascoltare piacevolmente. “Cajun Hell” viene introdotta da un’armonica e, insieme ad un riffing di base quasi blueseggiante, da poi libero sfogo a tutta la potenza della distorsione. Il brano conquista subito l’ascoltatore per il buon equilibrio nell’alternanza di  tempi cadenzati a lievi ma decise “sterzate” nella metrica del brano. Anche qui i solos si distinguono per la precisione nell’inserimento lungo le linee portanti del pezzo e per la godibilità del loro svolgimento. Più pesante l’incedere della seguente “Like father, like son”, traccia dove le chitarre svolgono riffs ora cupi e dalle tinte quasi drammatiche, ora taglienti e pieni di vivacità. Molto ben costruiti, infine, i cambi di tempo che sottolineano bene la forza d’urto del brano nel suo insieme. Cattiva irrompe “Cooruption”, giocata molto sul ritmo serrato della batteria che insieme alle chitarre dipinge un affresco sonoro di diretto impatto. La song non lascia respiro fino all’irrompere del refrain che, quasi come sentenza inappellabile, inonda le orecchie dell’ascoltatore. Di grande presa sono le parti solistiche che elevano di tono e di vivacità il brano. Altrettanto taglienti ed efficaci risultano, poi, esere i riffs che compongono la ottava “Verbal Rasors”, brano che rispecchia lo stile ormai collaudato del combo. In particolare ben costruita risulta essere la “progressione” dello sviluppo del brano, introdotto da un riff ben impostato.
La nona (e penultima) “Open Season” riporta la band a “picchiare duro” grazie ad un drumming molto veloce sul quale le chitarre sfornano riffs efficaci, potenti e soprattutto taglienti come rasoi. Questo pezzo sicuramente riprende coerentemente il discorso intrapreso nei precedenti lavori del combo, entusiasmando sicuramente l’ascoltatore.    
Chiude l’album la cover di “Overdose”, splendida song degli storici hard rockers AC/DC. La song colpisce per la discreta fedeltà dell’esecuzione strumentale, ma soprattutto per quanto riguarda le linee vocali di Souza che ricordano molto la voce ghignante del mai abbastanza compianto Bon Scott, lasciando all’ascoltatore l’idea di una band che omaggia un gruppo/culto della musica “hard” con il dovuto rispetto.

Se amate il Thrash Metal, in particolare quello della “vecchia scuola” americana, questo disco non potrà non conquistare i vostri apprezzamenti. “Fabulous Disaster”, quindi, può essere considerato un altro “tassello” immancabile del vostro puzzle discografico fatto di potenza, violenza, non priva di ironia in musica. Questi sono gli Exodus, a voi l’opportunità di “ascoltare” quanto piacevole sia il “favoloso disastro”.

 

Tracklist:

1. Last act of defiance
2. Fabulous disaster
3. Toxic waltz
4. Low rider
5. Cajun hell
 6. Like father like son
7. Corruptions
8. Verbal razors
9. Open season
10. Overdose

Line Up:

Rick Hunolt – Guitars
Gary Holt – Guitars
Rob McKillop – Bass
Steve “Zetro” Souza – Vocals
Tom Hunting – Drums
 

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