Recensione: Fell On Black Season

Di Daniele D'Adamo - 26 Aprile 2012 - 0:00
Fell On Black Season
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Anno: 2012
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80

Dalla Finlandia ennesimo capitolo di una saga, quella del death metal melodico, che non accenna ad arrivare alla parola ‘fine’. Si tratta di “Fell On Black Season”, debut album dei Rage My Bitch che, grazie al lavoro della connazionale Inverse Records, può essere gustato ovunque e, soprattutto, nel migliore dei modi.

Facendo un discorso simile a quello fatto, per esempio, nel caso degli spagnoli Nodrama, anche in questo caso siamo in un ambito che è definibile ‘estremo’ solo sulla carta. Certo, l’influenza dei gruppi che hanno fatto la storia del melodic death metal – e dello swedish in particolare – c’è tutta ma occorre evidenziare che i Rage My Bitch interpretano la faccenda completamente a modo loro. Con veemenza, con ritmo, con potenza ma, innanzitutto, con una gran dose di melodia.
La band, orfana dal 2008 del batterista fondatore Antti Pousi, propone due voci a mo’ di Scar Symmetry. Toni Kukkola, da un lato, usa sia un po’ di growling, sia uno stile basato sulle harsh vocals tipiche del metalcore, mentre dall’altro Antti “Andy” Peltola si rivela un eccellente cantante… hard rock! Con che, dando alla formazione – perlomeno come linee vocali – un tocco originale che trova pochi riscontri, in giro. Se, però, a ciò si somma una forte intrusione dell’elettronica con tastiere e campionamenti, ecco che è il sound nel complesso, a possedere una forte personalità.
Personalità che è irrobustita da un lineare quanto prezioso lavoro dell’agile sezione ritmica e dall’ottimo guitarwork, preciso nelle ritmiche e accattivante nei soli. Alla fine, la proposta del combo di Kouvola è assai coinvolgente, molto fresca, decisamente catchy senza tuttavia essere melensa: un equilibrio azzeccato, insomma, fra i toni duri del metallo e l’armoniosità della melodia rock.
Quello che, nel caso dei Nostri, si può a tutti gli effetti definire ‘modern melodeath’, inteso come propaggine evolutiva avanzata di quello che furono per il death metal, negli anni novanta, Sentenced e In Flames. Una progressione che basa le proprie fondamenta non tanto sull’aggressività, quanto sulla ricerca del calore fornito da un groove trascinante e avvolgente e, non di meno, del feeling fra il suono degli strumenti e la struttura delle canzoni.    

Canzoni che, e qui probabilmente è insita la peculiarità di “Fell On Black Season”, formano un insieme molto riuscito, pieno di spunti interessanti e momenti ricchi d’ispirazione. Pertanto, oltre ad aver creato un proprio stile facilmente riconoscibile in mezzo a tanti altri, i Rage My Bitch si dimostrano essere, anche, degli ottimi compositori. “The Mirror” è lo specchio di ciò, poiché già nel suo incipit si percepisce una piacevole musicalità che invoglia ad andare avanti e che rende vero, almeno in questo caso, il detto «se il buongiorno si vede dal mattino…». L’incedere scoppiettante della song, assieme alle sue decise armonie, rende indiscutibilmente appagante alzare il volume e proseguire con l’ascolto del platter. “Of Denial” non è da meno, con le sue penetranti atmosfere create dalle keyboards mischiate agli acidi effluvi delle harsh vocals e con il suo ritornello ‘da classifica’. Il flavour metalcore si fa più deciso in “Red Dead-Lovesong”, anche se l’incedere è quello, futurista, del cyber death metal. Con la potente e impetuosa “Last Of My Kind” comincia un trittico di canzoni assolutamente… super, nelle quali emerge prepotentemente il talento di Peltola, cantante in grado di fare la differenza con la sua classe: il formidabile break centrale del pezzo appena menzionato è di quelli che non si dimenticano facilmente! “Empire (In A Spoonful Of Shit)”, ed è ancora metallo cibernetico mischiato ad hard rock per una miscela desueta ed esplosiva, completata da un tocco di melanconia che non guasta, anzi. La suite “The Final Entry” coincide, a parere di chi vi scrive, con il miglior momento di “Fell On Black Season”. L’intro dolce e delicato annuncia un brano sentito e profondo, nel quale l’emotività è padrona soprattutto nel morbido e trasognante chorus, da brivido caldo sulla pelle. “Goddamn Deathmachine” aumenta ben bene il livello energetico in gioco, mentre l’irruenza di “Evolution Of A New Born Sin” fa da chiusura al disco, in coerenza con molte delle sue caratteristiche distintive.

La Scandinavia, ancora una volta, regala al Resto del Mondo un ensemble dotato di classe e talento, capace di esplorare con abilità gli spazi ove è ancora possibile trasformare il death metal verso forme più rarefatte senza che ne sia snaturato il DNA primigenio.      
   
Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. The Mirror 5:16       
2. Of Denial 4:34     
3. Red Dead-Lovesong 4:50     
4. Last Of My Kind 5:48     
5. Empire (In A Spoonful Of Shit) 5:38     
6. The Final Entry 7:22     
7. Goddamn Deathmachine 4:00     
8. Evolution Of A New Born Sin 5:17    

Durata 43 min.

Formazione:
Antti “Andy” Peltola – Voce
Toni Kukkola – Voce
Matti Lämsä – Chitarra
Immo Hietakallio – Chitarra
Joni Kyynäräinen – Basso
Teppo Ristola – Batteria
 

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