Recensione: Fist to Face

Di Andrea Bacigalupo - 12 Febbraio 2020 - 8:30
Fist to Face
Band: Holycide
Etichetta: Xtreem Music
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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65

Gli Holycide sono nati nel 2004, quando Dave Rotten degli Avulsed si è unito a Vicente J. Paya dei Golgotha, per dar vita ad un Thrash molto aggressivo ed intenso, suonato senza alcun compromesso.

Negli anni a seguire il progetto subisce vari avvicendamenti: nel 2009 Vicente viene sostituito da Ricardo Moreno, che però abbandona nell’estate del 2010 per intraprendere una carriera solista.

Rimasto solo, Dave Rotten si unisce, nel 2012, al chitarrista Miguel Bárez e nel 2013 al bassista Daniel Fernández.

Con questa formazione gli Holycide incidono il Demo ‘No Escape’, più che altro ad uso interno. Poi il trio comincia ad esibirsi dal vivo.

Nel 2014 la formazione si completa con l’ingresso di Jorge Utrera alla batteria e di Salva Esteban alla chitarra.

A questo punto non si tratta più di semplice divertimento ma di una cosa seria e, nel 2015, esce l’EP ‘Toxic Mutation’, al quale seguono una serie di concerti.

Sull’onda dei riscontri positivi il debut album, ‘Annihilate … Then Ask!’ è immesso sul mercato nel 2017, dopodiché la band comincia a condividere i palchi (passando anche dall’Italia, tra l’altro) con nomi di alto lignaggio quali i Flotsam and Jetsam, gli Onslaught, i D.R.I., gli Helstar e gli Exumer tra i tanti.

Con la formazione stabile e consolidata gli Holycide, nel 2019, sono entrati nuovamente in studio per registrare ‘Fist to Face’, il secondo album che vedrà la luce il 14 febbraio 2020 tramite Xtreem Music (Spiritual Beast per il mercato giapponese).

L’idea di produrre un Thrash senza compromessi si è concretizzata: i contenuti seguono lo standard classico, parlando di scenari apocalittici dove la Terra è stata distrutta dall’ingordigia e dalla mania guerrafondaia dell’uomo. Alcuni titoli si rifanno alle paure degli anni ’80 (che non sono di certo passate del tutto), come il pericolo nucleare od il micidiale uso del napalm, altri rimandano a problemi più attuali; in particolare gli Holycide rimarcano una ‘certa’ avversione verso il Donald mondiale (non certo il Duck – Paperino, lui sì che è un vero eroe) esplicitata pesantemente nella copertina, dove viene massacrato dalla mascotte del combo, e nella prima traccia dell’album, un’intro che, con un sottofondo altamente inquietante, riprende alcune parti di discorsi che Trump ha tenuto dopo il suo insediamento al potere.

Mettendo la politica da parte, anche se è la sua cattiva condotta ad alimentare principalmente la vena degli artisti Thrash, parliamo della musica degli Holycide.

Fist to Face’ è esattamente come il titolo: una scarica di pugni nella faccia che arrivano in rapida sequenza, senza poterli scansare: velocità smodata, ritmiche serrate, refrain ridotti all’osso, richiami alla Old School ma anche inserti moderni e cruenti, sono sparati senza sosta e senza dare tregua.

Veramente non ci sono compromessi ma, purtroppo, questo porta all’elemento debole dell’album: le tracce seguono un po’ tutte lo stesso schema ‘strofe veloci – refrain leggermente rallentati con cori ridotti che ripetono il titolo – assolo’ e perdono di variabilità.

Debolezza che gli Holycide vogliono bypassare con la loro capacità tecnica, con una buona produzione e con l’uso di elementi di stacco negli arrangiamenti, quali parti di basso o di batteria in evidenza, brevi linee di chitarra tendenti al progressivo, feroci blast beat ed attacchi viranti al Death.

Questo senz’altro aiuta ma non basta per dare unicità e varietà alla maggior parte dei brani che, pur non essendo male, non sono poi così differenti tra loro.

Delle tracce che si elevano comunque ci sono: ‘Empty Cyber Life’, ad esempio, con le sue soluzioni ritmiche moderne, un bel lavoro di Twin Guitar ed i tempi da mosh che sempre esaltano.

Trapped by the Crappy Trap’ è potente quanto sclerotica e punta a far sentire un qualcosa di diverso e ‘Napalm Sweet Napalm’ esplode per il suo gran lavoro ritmico.

Per il resto, i brani, ripeto, pur non essendo male se presi uno per uno, si assomigliano un po’ tutti, compreso la cover di ‘The Aftermath’, tratta dall’omonimo EP dei ‘Recipients of Death’, cult band che ha scorazzato per gli Stati Uniti nel periodo ’86-90, per poi sparire, a parte John Lisy che ha partecipato, nel 2007, alla ri-registrazione di ‘Guilty as Sin’ dei Bloodlust, il cui platter originale è del 1986.

Il brano si adatta benissimo allo stile degli Holycide, che lo portano all’attualità mantenendo le influenze dei Venom e dei Possessed di ‘Seven Churches‘. Questo tributo però non basta per renderlo unico.

Punto di forza sono gli assoli, interessanti e di gran fattura, mentre la voce, pur se caustica, arrabbiata ed interpretativa, non genera molto trasporto e pare che limiti un po’ l’evolversi musicale del gruppo (purtroppo punto in comune con tanti cantanti Thrash: pare che James Hetfield, Bobby ‘Blitz’ e Joey Belladonna non abbiano insegnato niente).

In definitiva, l’album è tutt’altro che scarso e merita l’ampia sufficienza. Viste le capacità tecniche ci si aspetta però una futura crescita vocale ed un più ampio ventaglio di soluzioni nel songwriting.

Il potenziale c’è, tocca agli Holycide dimostrarlo. Per ora bravi, ma con riserva.

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