Recensione: Forest of Equilibrium

Di Orso Comellini - 13 Maggio 2019 - 13:28
Forest of Equilibrium
Band: Cathedral
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 1991
Nazione:
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95

Ci sono artisti e gruppi che hanno dato un apporto rilevante alla storia della musica in generale. Musicisti che con il loro stile hanno lasciato un’impronta indelebile su di un intero genere musicale, una determinata scena o una generazione di musicisti. Più sinteticamente, che hanno segnato un’epoca, a livello locale o globale, che sia. Ben pochi, però, sono riusciti a creare un nuovo genere o comunque a portare al suo interno una piccola rivoluzione. Solo i più grandi.

I Cathedral sono riusciti a centrare un po’ tutti questi obiettivi (pur rimanendo sempre in una dimensione medio-piccola). A ben guardare la formazione del qui presente “Forest of Equilibrium”, si può affermare con certezza che lo abbiano fatto pure in più occasioni e con più interpreti. Lo stesso dicasi della discografia del gruppo: come si è evoluto e come si è auto-riplasmato ogni qualvolta si ripresentasse all’appuntamento di una nuova uscita discografica.

Partiamo da colui che potremmo definire come il maestro dell’estremo: Lee Dorrian. Conosciuto per aver cantato sui primi due dischi dei Napalm Death, “Scum” e “From Enslavement to Obliteration”, ha contribuito a portare la musica a una violenza e una velocità mai sentite prima, decretando così la nascita dei Blast Beat e del Grindcore, quando le band di allora facevano a gara a chi suonasse più veloce (come raccontato magnificamente sul libro “Choosing Death”, Tsunami ed.). Ma il buon Lee non vedeva di buon occhio la scelta del gruppo di virare su sonorità più tipicamente Death Metal, voleva rimanere all’estremo, in un modo o nell’altro. E per farlo si circondò di musicisti provenienti da esperienze differenti e di grandissimo rilievo. Come la coppia di asce, formata da Adam Lehan e Gary “Gaz” Jennings, entrambi provenienti dagli Acid Reign, band che l’anno prima aveva dato alle stampe quel gioiellino di “Obnoxious” e che aveva dato vita al cosiddetto Apple Core. Oppure Mike Smail, alla batteria, che pochi anni prima aveva pubblicato quel cult album di “Journey Into Mistery” dei Dream Death, che Fenriz (Darkthrone) riporta spesso come uno dei 4 dischi che più di tutti lo hanno ispirato. Unico a non avere precedenti di rilievo il bassista Mark Griffiths, del quale si riporta solo la sua esperienza come redattore nella fanzine Under The Oak negli anni Ottanta e come roadie dei Carcass (nei quali militava l’altro ex-Napalm Death, Bill Steer).

L’unione di questi cinque splendidi musicisti diede vita a quello che a tutt’oggi è uno dei massimi capolavori della musica estrema. Estremo non per la velocità assurda d’esecuzione o per i testi a sfondo satanico o di corpi mutilati, serial killer o cannibalismo. Tutto il contrario. “Forest of Equilibrium” è uno dei dischi più lenti e opprimenti mai composti. Le composizioni sono lunghe e dilatate, i riff di Jennings e Lehan distortissimi e asfissianti, la batteria di Smail rintocca come una sentenza. In un baleno ci si ritrova avvolti dalle infinite spire di un serpente proteiforme che stringe sempre di più la presa, fino all’inevitabile fine per asfissia. L’intento della band è quello di spengervi la luce, di lasciarvi affondare in putride paludi di melma nera come la pece. La prima strofa di “Comiserating the Celebration” è il plumbeo manifesto d’intenti di Dorrian & Co.

I nostri piaceri siano le esperienze prive di gioia e piene di malinconia
Non ricerchiamo la bellezza della vita, ma accarezziamo i suoi aspetti funerei

Niente di più affascinante e letale potevamo aspettarci da un album che la critica di allora definì più Black Sabbath degli stessi Sabbath (non a caso circa tre anni dopo ritroveremo le due band insieme in tour). Lasciatevi trasportare dalla straordinaria potenza evocativa di Lee Dorrian, qui malvagio come non mai, con la sua voce sgraziata e abrasiva; dalle melodie suadenti del flauto, come nell’intro “Picture of Beauty & Innocence”; dalle atmosfere solenni, eteree e quasi fiabesche (le fiabe oscure e decadenti dei fratelli Grimm, s’intende) che vi catapulteranno in una notturna realtà silvestre popolata da bizzarre creature, grottesche e informi, che si contorcono in movimenti innaturali e si autoinfliggono pene corporali, provando piacere dal dolore. Parto di qualche mente malsana. Splendidamente appropriata la copertina di Dave Patchett, che sembra a rifarsi in qualche modo all’arte di Hieronymus Bosch, con infinite particolarità tutte da scoprire.

 

FoE   Artwork

L’artwork completo

 

Il viaggio è lungo e regala continue emozioni, spesso anche antitetiche, tra luce ed ombra, vita e morte. Ogni singola nota di ogni singolo brano è un capolavoro a sé stante, tassello di un’architettura priva di difetti e a prova anche delle angherie del tempo. Imperscrutabile e inscalfibile. Tutte le canzoni meriterebbero menzione, ma particolarmente significativo è il “Side B”, con la poesia fatta musica di “A Funeral Request (Ethereal Architect), frutto del genio di Lehan (unico non firmato da Jennings), tra accelerazioni, sinistri arpeggi, rallentamenti repentini e assoli ispirati; “Equilibrium”, traccia più simil-sabbattiana dalle sembianze di una nenia, con quel magico finale comparabile per solennità a quello di “Left Hand Path” degli Entombed o quello di “Future Consciousness” dei Therion; infine la conclusiva e drammatica “Reaching Happiness, Touching Pain”, accompagnata da un flauto inquietante, che a tratti ruba la scena perfino agli altri strumenti. Struggente qui l’interpretazione di Lee Dorrian, in un ultimo rantolo di agonia, prima dell’arrivo dell’organo chiamato a celebrare la messa di requiem, ultimissime note di questo capolavoro.

“Forest of Equilibrium” è un album che all’epoca spingeva l’asticella dove nessuno prima di loro aveva mai osato avventurarsi. Un album più unico che raro, che ha dato un contributo enorme alla nascita del Funeral Doom, del Death/Doom e (sotto)generi collaterali e che vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Ben pochi però sono riusciti a emulare quest’opera d’arte granitica, permeata di fascino tanto ancestrale quanto perverso. Anche perché quello che rende questo disco così speciale, oltre a quell’aura mistica che lo pervade, non è tanto il suo estremismo, quanto un songwriting molto eterogeneo, con composizioni sempre piuttosto articolate, e brani dotati ognuno di una propria anima. Un unicum anche all’interno della discografia stessa dei Cathedral, dato che già dal successivo “The Ethereal Mirror” il loro sound farà la sua prima, progressiva muta. Un’evoluzione che porterà il gruppo di Coventry a sfornare almeno altri due capolavori.

 

 

P.S. Ho sempre trovato illuminante andare a leggere i ringraziamenti all’interno del booklet. Nel caso di “Forest of Equilibrium” è interessante notare come Gary Jennings ringrazi per l’ispirazione band come i Necromandus, Captain Beyond, Black Widow, Atomic Rooster ecc., mentre Lee Dorrian riporti Paradise Lost, Grave, Asphyx, Hellhound, Sadus e Morbid Angel. Giusto per capire quanto fossero eterogenee le anime del gruppo. Anche se poi Gaz ringrazia pure Paul dei Disembowelment, Patrick dei Disharmonic Orchestra e Alex dei Pungent Stench.  Tra i ringraziamenti di gruppo, invece, oltre ai più scontati, figurano Pentagram e Solitude Aeturnus, che assieme ai Trouble sono stati i gruppi che più hanno anticipato e si sono avvicinati alle sonorità qui contenute, poi Cirith Ungol, Mercyful Fate e Confessor e, ciliegina sulla torta, i nostrani Death SS, Paul Chain e Goblin.

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