Recensione: Get Off Your Ass!

Di Marco Tripodi - 6 Ottobre 2017 - 8:00
Get Off Your Ass!
Band: Autograph
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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68

Tornano i losangelini Autograph, anno di formazione 1983, quando nella Città degli Angeli il pubblico impazziva per Quiet Riot, Van Halen e Wolfgang…. chi? Wolfgang?? Eh si, la band in cui militavano originariamente Steve Plunkett e Randy Rand; scorsa parecchia acqua sotto i ponti, è successo che i Van Halen hanno conquistato soldi, donne e Jacuzzi, i Quiet Riot per un po’ anche, gli Autograph (ex Wolfgang) decisamente meno. Non sono in molti a citarli come band seminale e prime mover della scena del sunset strip dei primi ’80, sebbene a suo tempo qualche video su Headbanger’s Ball sia girato e sebbene i nostri abbiano pure saputo produrre album – a mio parere – eccellenti, come perlomeno “Sign In Please” e “That’s The Stuff“. Cosa è accaduto poi? Beh, che gli anni ’80 sono finiti, che altre band hanno riscosso un successo nucleare rispetto agli Autograph, ostruendo qualsiasi pertugio verso una notorietà più consistente di Plunk e soci, che i rapporti con label (RCA) e managment (Suzy Blank prima, Bill Thompson poi) diventano difficili, tanto da portare gli Autograph al naufragio, mentre pure i rocker americani voltano loro le spalle abbattendo le vendite disco dopo disco, in una inesorabile curva discendente.

Dal fatidico 1987 – anno di uscita di “Loud And Clear” – al 2016, la band (ovvero il solo Plunkett contornato da nuovi musicisti) pubblica unicamente “Buzz” (2003) come effettivo quarto studio album di inediti, 10 tracce sparpagliate in un mare di compilation, raccolte e antologie (“Missing Pieces“, More Missing Pieces“, “The Anthology“) che cercano per quanto possibile di tenere a galla un nome penalizzato anche dalla mancata ristampa dei primi lavori licenziati da RCA, nel frattempo divenuta BMG e completamente indifferente agli Autograph. Nel 2016 Lynch e Rand rimettono in piedi la baracca, offrono il microfono a Plunkett che però si dimostra non più interessato, riprendono a bordo anche Richards il quale ringamba quasi subito, e pubblicano il mini “Louder“, le cui tracce compaiono per intero in “Get Off Your Ass!“, compreso l’estratto live “Turn Up The Radio“.

In definitiva, oggi ci ritroviamo con quello che è appena il quinto titolo effettivo del curriculum degli Autograph, “autografi” per 2/4, ovvero basso e chitarra. La prima differenza sostanziale è la mancanza dell’apporto di Plunkett, che nessuno ricorda per essere stato un novello Pavarotti ma che con il suo timbro ed il suo carisma aveva sufficientemente permeato di sé il sound del gruppo, rendendolo riconoscibile anche grazie alle sue interpretazioni. Sentire gli Autograph senza Plunk è un po’ come ascoltare i Great White senza Jack Russell, i Crue senza Vince Neil, i Quiet Riot senza Kevin Dubrow. Ci sono esempi di band che pur avendo sostituito il proprio storico vocalist sono rimaste tranquillamente in piedi (AC/DC, Van Halen, Black Sabbath), ce ne sono altre, come quelle citate poco sopra, che invece hanno accusato il colpo. Non necessariamente si deve parlare di cattivi album, tuttavia manca un ingrediente costitutivo ed il sapore risulta inevitabilmente alterato. “Get Off Your Ass!” è una discreta prova, la band è in salute e qualche graffio c’è (“Watch It Now“, “You Are Us, We Are You“, “I Lost My Mind In America“, la title track), ma a Daniels manca l’istrionismo guascone di Plunkett e alla band in generale manca l’adrenalina e la scintilla dei primi ’80.

Il mondo è cambiato, gli Autograph sono invecchiati. Tutto appare più smussato, addomesticato, prevedibile, fatto con esperienza e mestiere ma certo meno frizzante. All’opposto, Lynch e Rand parlano di un album più pesante che mai, addirittura di “Autograph sotto steroidi“. Poi c’è tutto il codazzo del “ritrovato entusiasmo“, della “grandissima chimica” venutasi a formare nella nuova formazione… e prima qui era tutta campagna e si stava meglio quando si stava peggio. Dave Ellefson benedice il progetto assumendosene l’onere con la sua EMP Label Group. Non rimane che attendere il giudizio insindacabile dei fan. Gli Autograph del 2017 valgono quelli del 1985? Chi si accontenta gode? In ogni caso, ricordate la firma in calce al modulo, chiara e leggibile per favore.

Marco Tripodi

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