Recensione: Get Your Rock On
X-Drive è un progetto musicale coagulatosi intorno al chitarrista statunitense Jeremy Brunner, che è stato affiancato, per la realizzazione del primo full-length, intitolato “Get Your Rock On”, dal cantante Keith St. John (Montrose, Burning Rain), dal bassista James Lomenzo (White Lion) e dal batterista Fred Fischer (Midline).
Il four-piece allinea in questo dischetto dodici brani, i quali rappresentano altrettante dichiarazioni d’amore nei confronti dell’hard rock a stelle e strisce degli anni ottanta del ventesimo secolo, quello, per intenderci, di Ratt, Tesla, Lynch Mob e tanti altri.
Uno stacco di batteria, un riff assassino, l’entrata della voce, calda ed espressiva, di St. John: così l’opener Love’s A Bitch dà all’ascoltatore il benvenuto negli Eighties riletti dagli X-Drive. Sulla stessa linea si colloca la successiva Get Your Rock On, che si contraddistingue vieppiù per una ritmica incalzante e decisa ed un ritornello invitante e purtuttavia “maschio” e risoluto.
Dopo questo incipit energico, l’album tira il fiato prima con Steppin’ On The Rock, traccia più pacata pur se illuminata da saette chitarristiche, e poi più decisamente con Baby Bye Bye, una ballad che trent’anni fa sarebbe stata accolta in sede live da accendini accesi e ragazzine in lacrime. Pure California, subito dopo, s’adagia mollemente sul terreno di una semi-ballad tanto usuale quanto gradevole e solare.
Dopo Lay Me Down, midtempo piacione quanto basta ma senza infamia e senza lode, il tiro si rialza grazie a Turn The Noize Down, dal flavour zeppeliniano, per poi frenare grazie a Beyond the Angels, ballata elettrica davvero suggestiva.
L’album offre altri due spunti interessanti con Rattlesnake Eyes, dilettevole e groovy, e Just Can’t Stay, che alterna momenti slow a scattanti fiammate rock.
Le sfumature folk e west coast di Change of Heart e l’elettricità heavy di Love Breaks the Fool, salutano l’ascoltatore con sonorità alquanto canoniche.
Gli X-Drive, insomma, propongono con Get Your Rock On un’operazione che darà sufficiente gioia a coloro che amano il rock duro di tre decenni fa, al quale i quattro rockers statunitensi fanno riferimento.
Costoro godranno pienamente delle canzoni più riuscite dell’album, della classe e della destrezza dei musicisti. E perdoneranno, a fronte dell’oggettiva godibilità del platter nel suo insieme, qualche spunto creativamente meno vivace. Chi cerca, al contrario, sonorità innovative e meno nostalgiche si rivolga, ça va sans dire, da un’altra parte.
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