Recensione: Glue

Di Daniele D'Adamo - 24 Maggio 2020 - 10:26
Glue
Band: Boston Manor
Etichetta: Pure Noise Records
Genere: Metalcore 
Anno: 2020
Nazione:
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78

Metalcore, post-hardcore, sono fra le definizioni che si affiancano ai Boston Manor, formazione inglese che calca le scene dal 2013 e che può vantare la presenza, nel carniere, di tre full-length, questo compreso.

Definizioni che lasciano il tempo che trovano, un po’ come accade in linea generale, giacché l’arte non è classificabile in maniera scientifica. Tuttavia, esse lasciano intuire la sussistenza uno stile modernissimo, non solo al passo coi tempi ma, addirittura, in anticipo su di essi. Difatti, “Glue” si può osservare come un’opera all’avanguardia, ricca di elementi che non sempre si trovano nella grande famiglia del metal. Elementi che ne accrescono il valore complessivo, poiché la band, dopo un percorso di sette anni, è riuscita a fissare le coordinate stilistiche di un qualcosa che fa parte solo di essa, che la rende unica nel panorama musicale odierno. Tale processo non deve essere stato semplice, dato che ogni singola nota, ogni singolo accordo, danno la sensazione di essere stati studiati con cura quasi maniacale; la stessa che è stata utilizzata per realizzare un disco completo, in cui i Nostri non perdono mai di vista la strada maestra. E, già questo, è un biglietto da visita che onora i cinque ragazzi di Blackpool in ordine a un approccio alla questione scevra di pregiudizi, cliché triti e ritriti, scopiazzature e ridondanze di ogni genere.

Tracciare un profilo che riordini tutto ciò che è contenuto nel disco non è facile: la materia è varia e complessa. Tuttavia, un elemento che balza subito agli occhi, pardon all’orecchio, è la freschezza. Vivacità, verve, movimento. Caratteristiche che rendono “Glue” godibile in ogni istante, piacevole da ascoltare, sia nella modalità come sottofondo musicale, sia quando entra in gioco la concentrazione per cogliere ogni aspetto che si trova sul rigo musicale. Chiaramente, visti i tempi, il gruppo fa largo uso di elettronica ed effetti vari, come per esempio in ‘1’s & 0’s’, fantastica canzone dal ritornello vincente nella quale fa da leitmotiv la voce filtrata di Henry Cox. Ecco qui, in questo caso specifico, ma anche nell’opener-track ‘Everything Is Ordinarys’, emerge con forza la natura fondamentalmente *-core (‘You, Me & the Class War’) del quintetto britannico. Poi, il platter prosegue nel suo incedere colorato, multiforme, che assorbe un numero non indifferente di influenze musicali, fra le quali si possono appuntare il rock puro e semplice (‘Plasticine Dreams’), il pop (‘Stuck in the Mud‘) e il grunge (‘Only1’).

Come più su accennato, nonostante questo guazzabuglio fusion, il combo del North West non perde mai la propria identità, non si sfilaccia in tessuti eterogenei di brandelli slegati fra di loro. Anche nella morbida e lenta ‘Terrible Love’, in cui Cox si mostra un cantante davvero bravo nell’interpretare le proprie linee vocali con cuore e sentimento. Song indicativa di uno spessore compositivo per nulla scontato. Anzi, specchio di un talento a tutto tondo nel saper elaborare tracce dalla profonda emotività (‘On a High Ledge’). Nelle quali, come da tradizione del melodic metalcore – ma si tratta dell’unica intromissione di cui si è già a conoscenza – , viene alitato un impercettibile senso di malinconia, di nostalgia.

“Glue” prosegue nella sua traversata atlantica mantenendo intatti le sue peculiarità senza mai fallire un colpo, cioè una traccia, nella creazione di una musica costantemente al di fuori di confini noti e ben tracciati. Libertà assoluta, insomma, che non si risolve nel caos, nell’anarchia bensì in un puzzle ordinato e preciso, dai mille colori e sapori, dalle mille tonalità.

Un lavoro da ascoltare in pace e serenità, assorbendo i suoi sentimenti e i suoi singulti, sciolti lungo il preciso incedere fra la ridetta ‘Everything Is Ordinarys’ e la closing-track ‘Monolith’. Un’altra dimostrazione della superiorità degli act del regno Unito quando trattasi di creazioni derivanti dal *-core, in definitiva. E, con questo, si può chiudere il discorso.

Bravi, bravi davvero.

Daniele “dani66” D’Adamo

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