Recensione: Gravehammer
Band dalla lunghissima carriera (diciotto anni), i Vore non sono mai stati particolarmente baciati dalla fortuna, almeno sino al 2011. Un demo (“To Devour”, 1995), un EP (“Dead Kings Eyes”, 1997) e ben tre full-length (“Lord Of Storms”, 2001; “Maleficus”, 2005; “Gravehammer”, 2011), tutti rigorosamente autoprodotti, dimostrano l’inossidabile volontà della band stessa per portare avanti con la massima determinazione possibile un progetto musicale che, finalmente, trova la giusta ricompensa con la stipula di un contratto discografico con l’AFM Records. Per dare alle stampe, stavolta in grande, proprio l’ultima creatura: “Gravehammer”.
L’azzeccato quanto colorato soggetto della copertina potrebbe all’inizio fuorviare in merito al genere praticato dai Nostri, ma ben si adatta, invece, alle loro bellicose velleità improntate su un death metal che non concede niente a nessuno, in termini d’integrità musicale. Si tratta, difatti, di un death che presenta – intatti – gli elementi classici sia dell’heavy metal a sfondo eroico-leggendario (o, appunto, ‘epic metal’, cioè quello dei Manowar dei primi due album, per intendersi), sia del thrash ‘lento’ come quello, per esempio, che ha tracciato certe parti massicce di “Master Of Puppets” dei Metallica. Il che significa, in sostanza, che i Vore hanno bandito dal loro sound sia l’alta velocità che le forme di melodia edulcorate e accattivanti per dar vita a una proposta musicale segnata da una titanica potenza e da una durezza allucinante. Pur essendo ‘solo’ in tre, gli statunitensi erigono un muro di suono impressionante per compattezza e gravosità, assolutamente inamovibile da un’impronta a terra nella quale esiste solo e soltanto questa strana forma di (heavy)/death metal che, si può ipotizzare con logicità, sarebbe potuta benissimo essere quella che avrebbero raggiunto gli Exciter se avessero proseguito, da “Violence And Force” (1984) in poi, sulla strada intrapresa dai Possessed. ‘Coi se e coi ma non si fa la storia’ e quindi, nel 2012, ci si trova davanti a un lavoro, “Gravehammer”, che odora di classico sino al midollo ma che, ed è questo l’aspetto più importante, si può dire che abbia dei segni caratteristici quasi unici al Mondo.
Segni che riguardano, nello specifico, l’avversione per i ritmi rapidi e snelli; fissati al contrario su sequenze di mid e low-tempo caratterizzati da una pesantezza inaudita dovuta, anche, all’uso estensivo di una doppia cassa ‘a tappeto’ addirittura prossima all’assenza di dinamismo tipica del doom. La chitarra ritmica sembra suonata con i pugni, talmente sono compressi e stoppati i riff elaborati da Page Townsley, pertanto abbracciando appieno, o quasi, la filosofia musicale degli axe-man di etnia thrash. Il death, che quindi sembrerebbe avulso da questo contesto, si manifesta invece con decisione soprattutto nelle linee vocali, inchiodate da un sempiterno growling ‘a pieni polmoni’ che, con fare stentoreo, narra le storie a sfondo mitologico raccolte in “Gravehammer”. L’ossessivo accompagnamento del basso di Jeremy Partin, infine, fa sì che i Vore raggiungano una densità pressoché infinita, tale da generare una forza di attrazione gravitazionale pari a quella di un buco nero.
Giungendo all’analisi delle canzoni di “Gravehammer”, si arriva forse a comprendere il motivo per il quale il trio di Fayetteville abbia avuto una storia tutto sommato anonima, nel firmamento della volta celeste del metal. A una forza così erculea nel suonare i propri strumenti corrisponde un simile gravame anche nel songwriting, un po’ troppo uniforme e uguale a se stesso via via che scorrono le tracce del platter. La durata delle stesse è pericolosamente elevata se non si possiede, per esempio, la classe compositiva dei già menzionati Manowar o dei Candlemass. Tale, cioè, da mantenere lontana la noia anche quando ci si trova di fronte a un pezzo lungo sette/otto minuti retto da pochi accordi e, ancor più, da rare variazioni sul tema di base. Così, seppur il sound sia godibile nella sua particolarità, alla fine reggere per quasi un’ora il disco è un’impresa difficile e, se ci si riesce, indigesta. Difatti, pur passando molte volte “Gravehammer” avanti e indietro nel lettore, si riesce con molta difficoltà a memorizzare qualche passaggio e, parallelamente, a evidenziare – dall’immensa superficie del CD – qualche area diversa dalle altre.
Peccato: i Vore hanno elaborato uno stile assai personale e ricco di richiami ai Miti della Storia metallica. Tuttavia, la mancanza di un quid compositivo sopra la media ordinaria rende “Gravehammer” un’opera poco appetibile anche ai defender più incalliti.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. The Cruelist Construct 5:52
2. The Unseen Hand 5:15
3. Doomwhore 8:03
4. Uroboros 1:20
5. Gravehammer 7:46
6. The Claw Is The Law 8:36
7. Progeny Of The Leviathans 5:37
8. Throne To The Wolves 4:35
9. Sacerdotum Tyrannis 6:49
Durata 54 min.
Formazione:
Page Townsley – Chitarra/Voce
Jeremy Partin – Basso/Voce
Remy Cameron – Batteria