Recensione: H8

Di Daniele D'Adamo - 28 Ottobre 2008 - 0:00
H8
Band: Godsplague
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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70

I Godsplague, quartetto finlandese con una buona esperienza alle spalle, sono una band presente sulla scena internazionale da sette anni, giunta con ”H8”, al capitolo numero tre in carriera.

Difficile, procedendo nell’ascolto, definire il genere musicale proposto dal gruppo: essi stessi definiscono la proposta come una fusione di pesanti riff prodotti da chitarre accordate con tonalità più basse rispetto alla norma, parti di basso sature e da un uso della batteria contrassegnato dalla potenza come caratteristica tipica.
Il suono che deriva è quindi massiccio, poderoso e pieno. Ricco tuttavia anche di parti armoniche che, a buon fine, possono inquadrare il genere come una sorta di heavy-death di stampo evoluto e moderno, arricchito con elementi di Speed, Thrash e Death melodico.

Il disco parte senza indugi di sorta con ”Zero Mission”, introdotta da un pesantissimo riff di chitarra di Euge Valovirta e dallo screaming di Nico Hartonen, che con piglio duro e granitico, delineano una canzone dall’incedere molto dinamico, sconfinante a volte nella velocità più estrema. Con ”Useless”, viene proposto un continuo, ossessivo, massiccio tappeto ritmico tessuto con la doppia cassa di Atte Sarkima, sul quale si distendono le parti canore, davvero eccellenti e varie, di Hartonen, ora in scream, ora pulite.
È quindi il turno della terza e, a parere di chi scrive, migliore canzone dell’album: ”Into Oblivion”. Varia, melodica, con un riff portante triste e malinconico su una base ritmica accidentata ma sempre pulita e comprensibile grazie alla precisione di Arska Vietala e di Sarkima. Notevolmente armonico l’assolo di Valovirta, invero piuttosto avaro di parti soliste lungo l’intero album.
”I Will Break You”, assalta invece l’ascoltatore con piglio thrash, demandando al ritornello un deciso richiamo al Death melodico di provenienza scandinava, per una canzone nel complesso godibile e di facile assimilazione, nonostante la costante presenza del taglio potente e massiccio che caratterizza, sempre, il suono del gruppo.
Sinuoso, invece, l’incipit di ”The Depth”, con un calmo e rilassato Hartonen a tessere con serenità le proprie linee vocali. Il tutto, però, ha breve durata: s’inseriscono subito gli elementi più heavy del gruppo, che poi s’intervallano alle già citate parti melodiche utilizzate, non a caso, per il più bel ritornello del disco.
Rumori ambient introducono la breve ”Hope” sottolineata, all’inizio, da un dolce arpeggio di chitarra e da parti vocali molto morbide, capaci trasmettere una chiara sensazione di calma. Calma apparente, poiché dopo pochi secondi il gruppo di scatena in un violento Speed/Thrash, dinamicamente sciolto ed efficace; sempre pulito, ordinato e chiaro, arricchito da un assolo di chitarra aggressivo e lacerante.
Riff quadrati, pesanti ma sempre puliti e ben definiti, conducono a ”All You Are/J.P.D.L” , canzone caratterizzata da un cantato aggressivo e ruvido e dall’assolo di chitarra, dissonante ma in linea con lo stile del gruppo
Ritornano echi thrash in ”Time Bomb”, song massiccia e semi-veloce, caratterizzata da un cantato semplice e sicuro; potenti parti di chitarra, sempre dalla timbrica bassa e compressa, ne costituiscono la robustissima ossatura.
”4130/Don’t Come Back” inizia senza indugi con un riffing di chitarra tipico del death melodico. Su tale base, comprendente anche vigorosi mid-tempos a spezzare la continuità del brano, si districa il lungo assolo dell’ospite di lusso Alexi Laiho (chitarrista e cantante dei più blasonati Children Of Bodom, attivo come guest anche negli altri brani ”All You Are/J.P.D.L” e ”H8”), perfettamente inserito in un ambito musicale a lui più che consono.

C’è tempo ancora per ”Under The Fire”, in cui la band macina un sound veloce, potente e massiccio e per la conclusiva title-track, dall’incedere lento e ritmato, a cui fanno poi immediata eco, parti decisamente più veloci ed aggressive, compattate dallo screaming incrollabile e roccioso del solito Hartonen.

Un cd che va ascoltato a lungo e con attenzione quindi, in cui la presenza di più elementi caratteristici di diversi stili, abilmente fusi fra loro, può creare dapprincipio qualche attimo di smarrimento. Un unico filo conduttore capace di legare i singoli episodi è in ogni modo presente, un collante che, una volta scovato ed interpretato, porterà alla luce un lavoro solido e privo di cadute di tensione, moderno ed al passo coi tempi.
Ottima la competenza tecnica dei musicisti e la produzione di Janne Joutsenniemi, è, per concludere, proprio il buon valore di alcune canzoni assai riuscite, a nobilitare l’album elevandolo dalla mediocrità.

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Tracklist:

01. Zero Mission – 3:10
02. Useless – 3:11
03. Into Oblivion – 4:37
04. I Will Break You – 3:03
05. The Depth – 4:31
06. Hope – 2:07
07. All You Are/J.P.D.L – 2:47
08. Time Bomb – 3:28
09. 4130/Don’t Come Back – 3:50
10. Under The Fire – 3:29
11. H8 – 3:35

Line Up:

Nico Hartonen (Coarse, D-Ray, Hevein): vocals
Euge Valovirta: guitars
Arska Hietala: bass
Atte Sarkima (Ajattara, Havana Black, Verenpisara, Mess): drums

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