Recensione: Hail to England

Di Enzo - 27 Dicembre 2001 - 0:00
Hail to England
Band: Manowar
Etichetta:
Genere:
Anno: 1984
Nazione:
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90



Strong winds magic mist
To Asgard the valkries fly
High overhead they carry the dead
Where the blood of my enemy lies

(Blood of my Enemy)

Nel firmamento variopinto che ha da sempre costellato uno dei più mitici stili dell’Heavy Metal music, l’ Epic Metal, vi sono band che si sono rivelate essere autentici punti di riferimento per decine di altri gruppi, una di queste band furono sicuramente i Manowar, che, con la loro saga epica composta dai primi quattro incredibili dischi si attestarono ad essere tra i signori incontrastati dell’Heavy metal più fiero, eroico e solenne. Quando per la prima volta vidi “Hail To England” pensai che un disco che poteva vantare in copertina un guerriero sterminatore non poteva che essere un capolavoro indipendentemente da tutto e, mai, mia previsione fu più giusta.

Ad aprire l’album vi è Blood Of My Enemy, pezzo cardine di tutta la produzione della band, una song che comincia con un arcano arpeggio per poi snodarsi in tutta la sua carica di epicità grazie a riff sanguigni ed eroici forgiati da un mirabile Ross The Boss. La song è resa immortale proprio grazie al suo mistico refrain, dove, tra atmosfere cariche di enfasi, si narrava delle gesta di guerrieri caduti sul campo di battaglia attraverso un’incredibile interpretazione vocale di Adams! Un disco che comincia con una canzone di tale caratura non doveva nè poteva avere cedimenti successivi, e cedimenti non ve ne sono stati perchè la seguente Each Dawn I Die unisce carica epica a riff pregni di energia e potenza. Si accellerano ancora i ritmi con la fast song Kill With Power e, mai, fu sprigionata tanta potenza e velocità nell’allora ancora esigua discografia del gruppo. Giunge, subito dopo, la title track Hail to England dove la voce di Eric Adams accompagna solennemente l’epico andamento del brano che si snoda su di una rocciosa costruzione strumentale scandita dal bellico incedere della batteria di Scott Columbus. Il refrain, stupendo, è accompagnato da gloriosissimi chorus (registrati dal coro della chiesa di St.Mary’s).
Army of The Immortals è un brano “loud’n proud style”, il muro sonoro scaturito dal riffing di Ross è potente e sontuoso e, unito al basso di DeMaio, forma un unico blocco di acciaio che cede il passo solo momentaneamente al bellissimo ritornello.
La successiva Black Arrows è la classica strumentale di basso cui Joey DeMaio ci ha abituato fin dai tempi di “Battle Hymns”, strumentale per altro alquanto discutibile, preludio, tuttavia, ad un’altra indiscussa hit del disco. Infatti proprio ora giunge, come un tuono da un abisso di male sconosciuto, la dantesca, infernale e monolitica Bridge Of Death, apocalittica suite, micidiale brano dal feeling arcano e maligno dove si narra di un uomo, che, più beffardo del male in persona, scende negli inferi per attraversare il “ponte della morte” e sfidare il diavolo per conquistarne il trono.

La magia dell’Heavy Metal epico era tutta contenuta in album come “Hail To England”, un disco che si rivela essere uno scrigno nei quali sono e saranno sempre contenuti i segreti più reconditi ed eroici di questa magica e fiera corrente musicale passata poi agli annali con il termine di Epic Metal.
Vincenzo Ferrara

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