Recensione: Healed by Metal

Di Luca Montini - 14 Gennaio 2017 - 9:00
Healed by Metal
Band: Grave Digger
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2017
Nazione:
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70

“Stay True!!”

Nel mondo c’è un ordine naturale di farmacie, poiché tutti i prati e i pascoli, tutte le montagne e colline sono farmacie […] nella natura tutto il mondo è una farmacia che non possiede neppure un tetto!”, scriveva Philippus Theophrastus Bombast von Hohenheim, detto Paracelso (1493 – 1541), padre della iatrochimica e grande esoterista. I Grave Digger di Chris Boltendahl, attivi dal lontano 1980, sembrano aver trovato la propria farmacia nel metallo pesante, come elixir di lunga vita e vigore imperituro. Mica male per chi nel frattempo, da buon becchino, sotterra gli altri, alle stampe con il diciottesimo full-length:Healed by Metal”, guariti dal metal. La taumaturgia del metallo ha tuttavia delle regole, dei precetti e dei comandamenti da seguire per massimizzare la propria efficacia; prima tra le quali, realizzare una cover decente. Come da lunga tradizione (dal 2004), Gyula Havancsák produce un artwork degno di essere chiamato tale, che rifugge i colori ipersaturi e le deformità di certa arte computerizzata fin troppo abusata negli ultimi tempi, con risultati spesso discutibili. 
Aspettarsi in un nuovo un genere lontano dall’heavy muscolare ed epico dei Grave Digger, dopo tutti questi anni, è certamente una chimera. Del resto un’altra contropartita nello stringere un patto col diavolo è la fedeltà eterna al malevolo contraente.

Healed by Metal” è la pozione ideale per ogni truemetallaro afflitto da poser-ite acuta, a base di musica heavier, faster and louder. Una cura di acciaio incandescente da far saltare in aria le ipocondrie di Battiato assieme ai dubbi sulla nietzscheana morte degli dei del metallo. Un disco compatto, trentacinque minuti lisci e filati di riff al plutonio arricchito che deflagra negli interventi dell’inossidabile Chris Boltendahl al microfono. 
La titletrack, dalla quale è stato realizzato un video parecchio tamarro e pacchiano, mette subito le cose in chiaro: i Grave Digger sono tornati e non vogliono scendere a compromessi. Il disco non presenta cali di intensità ma neppure picchi di qualità: nessuna ballata, tanti cori diretti e ben riusciti e liriche immediatissime, con brani che si strutturano su un riff portante Axel “Ironfinger” Ritt e qualche power chord, ed una possente base ritmica di Stefan Arnold (batteria) e Jens Becker (basso). Si susseguono così senza soluzione di continuità la più epica “When Night Falls” e la più moderna “Lawbreaker”, col suo attacco di motocicletta ed il suo incedere priestiano.
Leggero calo di tempo per “Free Forever”, che sembra perdere colpi sulla strofa per esplodere con un buon ritornello, con tanto di chitarre acustiche in background. Alternate picking powerello sulla corda a vuoto in “Call for War” che col suo refrain ci porta in mezzo alla battaglia, e di nuovo in ascesa al monte Sinai del metallo. Non sono “I Dieci Metallamenti” dei nostri amici Atroci, ma poco ci manca, tanto che al grido “Stay True!” di “Ten Commandments of Metal” accogliamo con un sorriso la tamarra ingenuità dei tedeschi ormai fuori dal tempo.
Di ritorno al cimitero per l’ultima serie di giri della morte di queste montagne russe: ancora fuoco alle polveri per “The Hangman’s Eye” seguito da un altro brano decisamente ben riuscito, la successiva “Kill Ritual”. Giusto per onorare tutti i cliché, dopo l’impiccagione e l’uccisione via rituale, in “Halleluja” il nostro ideale nemico viene crocefisso per i suoi peccati. 
Chiusura insolita per un mid-tempo più atmosferico, cupo e sincopato: “Laughing with the Dead”, con quella risata sinistra a rimarcare la grinta e l’assoluta ignoranza dei teutonici, autori di una prova orientata ai die-hard fans, ai sempre meno numerosi adepti del culto dei defenders of metal.

Di ritorno da un breve viaggio nelle cronache dell’acciaio, mentre la ragione riprende il suo ruolo di giudice sulle cose, non possiamo che puntare il dito sul fatto che i teutonici Grave Digger di Healed by Metal” restano decisamente troppo legati nel songwriting agli anni d’oro dell’heavy ed alla loro stessa discografia. Un atteggiamento sfrontato, totalmente incuranti del mondo esterno che evolve senza badare troppo ai comandamenti del vero metallo. Del resto siamo ormai lontani dalla leggendaria trilogia “Tunes of War” (1996), “Knights of the Cross” (1998) ed “Excalibur” (1999) che rimane e rimarrà l’acme compositivo dei tedeschi. Una critica, questa, certamente valida ma anche prevedibile e stereotipata, che a mio avviso non coglie affatto gli intenti dei becchini, imperterriti ed ostinati nella consacrazione e nella ritualità del sacro verbo, nonostante l’ineluttabile scorrere del tempo, che a quanto pare sembra non volersi far troppo sentire sulla grinta dei nonnetti di Gladbeck. Se questi sono i risultati in termini di benefici per il corpo e per la mente, corro immantinente dal mio farmacista in cerca di metallo*!

Luca “Montsteen”  Montini

*Leggere attentamente le avvertenze prima dell’uso, conservare rigorosamente ad alto volume, in caso di sovraddosaggio o effetti collaterali non consultare il medico ma continuare la somministrazione a volume ancora più elevato. Può provocare dipendenza.

 

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