Recensione: Heritage of Sickness II

Di Daniele D'Adamo - 3 Settembre 2021 - 0:00
Heritage of Sickness II
Etichetta: Comatose Music
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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75

Nuova compilation per gli Internal Bleeding: “Heritage of Sickness II”, che segue a distanza di nove anni il capitolo iniziale, “Heritage of Sickness”.

Analogamente a quanto accaduto per “Heritage of Sickness”, l’operazione in atto riguarda la rimasterizzazione della maggior parte dei brani presenti nei primi tre demo, oggetto di culto e di leggenda: “Rehearsal Demo” (1991), “Invocation of Evil” (1992) e “Perpetual Degradation” (1994).

Apparentemente si potrebbe pensare a una mera operazione commerciale per guadagnare qualcosa in questi duri tempi di pandemia, dove le attività di tutti i generi sono limitate dalla lotta al Covid-19. E invece non è così, almeno a parere di chi scrive, poiché “Heritage of Sickness II” trasporta nel 2021 ciò che erano i Nostri agli inizi degli anni novanta. Cioè, gli inventori del cosiddetto slam death metal o, più, semplicemente, slam. Un fatto non da poco, poiché da lì è partita una rivoluzione stilistica che, ancora oggi, coinvolge molti act dediti al metal (molto) estremo. Slam che si distingue dal resto delle derivazioni death essenzialmente per un contenuto carico di groove; intendendo per quest’ultimo la potente empatia che si crea con l’ascoltatore tramite il solo linguaggio ritmico.

E difatti, per riuscire a creare questa sorta di feeling profondo, gli Internal Bleeding insegnano che non è necessario andare veloci come fulmini, anzi. Vengono prediletti mid e up-tempo massicci (‘Epoch of Barbarity’), pesantissimi, cadenzati, spesso sfocianti nei blast-beats ma per brevi istanti (‘Conformed to Obscurity’); ritmi che hanno la funzione di prendere a schiaffoni chi ascolta come esige, appunto, lo slam.

Il riffing contribuisce a dare questa sensazione di estrema pesantezza grazie ad accordi stoppati con la tecnica del palm-muting, per i quali – anche in questo caso – la cinetica quasi si ferma per creare un tappeto intessuto con fili spessi sì da creare la base per un muro di suono monolitico che si muove con lentezza che a volte pare fermarsi, sì da schiacciare e triturare più crani possibili. Anche il basso, per aumentare l’energia delle mazzate sulla schiena, produce un suono plumbeo, picchiato, quasi indistinguibile dalle sei corde.

Discorso a parte per la voce, giacché nei tre demo citati all’inizio si sono succeduti altrettanto cantanti: Eric Wigger (1991), Wallace Milton (1992) e Bill Tolley (1994, RIP 2017). Il risultato finale comunque non cambia, poiché lo slam esige il proprio stile vocale, e cioè un growling stentoreo, impostato su toni bassi spremendo il diaframma, precursore dell’inhale.

Tutti queste caratteristiche, facilmente rinvenibili nel disco, rappresentano oggi la normalità per chi suona lo slam ma, all’epoca, hanno costituito una piccola rivoluzione musicale giacché nessuno avrebbe mai pensato che il death metal, ancora agli albori della sua storia, potesse assumere delle peculiarità simili.

Ecco allora che il cerchio si chiude. “Heritage of Sickness II” serve proprio a questo. A portare indietro nei lustri il death metal per raggiungere quei tre anni in cui nasceva un suo sottogenere che sarebbe diventato il verbo assoluto per molti gruppi a venire. Fra i quali, inoltre, si possono annoverare anche quelli che appartengono a un’altra razza super estrema del metallo della morte, cugina prima dello slam: quella del brutal death metal.

Di conseguenza, “Heritage of Sickness II” è consigliato sia ai fan più fedeli degli Internal Bleeding per rinfrescarsi la memoria, sia a novizi che intendono esplorare un periodo storico in cui, magari, non erano ancora nati.

Daniele “dani66” D’Adamo

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