Recensione: Hidden Depravity

Di Alberto Franco - 8 Settembre 2013 - 22:23
Hidden Depravity
Band: Cancrena
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2012
Nazione:
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70

Nati nel 2000 a Bari, i Cancrena sono una formazione con all’attivo un demo, un full-length autoprodotto (“Fears”, 2005) ed un EP distribuito, oltre che in Italia, anche in Gran Bretagna e Stati Uniti e del quale un brano, “The Sponger”, è stato utilizzato come sigla di un programma televisivo su un Network diffuso in quasi tutto il mondo. Se questo non bastasse come biglietto da visita, sappiate che la band ha avuto l’onore e l’onere di condividere il palco con veri e propri mostri sacri quali Obituary, Malevolent Creation e Raw Power.

“Hidden Depravity” segna per la band il debutto sulla lunga distanza con alle spalle un’etichetta discografica. Visto il curriculum posseduto dal combo pugliese, è lecito attendersi una prestazione tecnicamente ineccepibile, ed un songwriting di qualità. Per quanto riguarda il primo punto, possiamo tranquillamente affermare che le aspettative sono state pienamente accolte. La batteria accompagna senza un attimo di indecisione le aggressive linee di chitarra, con un basso che spesso non si limita a seguire pedestremente la sei corde, fornendo ottimi spunti. Per finire, la voce di Francesco Morgese si trova perfettamente a suo agio nel seguire la sezione strumentale. Nel commentare il songwriting, sarà opportuno prendere in analisi alcuni dei brani contenuti nel disco.

Il Thrash dei Cancrena nasce dalla fusione tra il sound di Pantera, Testament, e Black Label Society. Questo connubio risulta assai efficace nell’opener “Serpent Skin, nella quale dopo un’intro dove Ricco fa mostra di saper usare piuttosto bene il doppio pedale, parte un ottimo brano, dotato di un riffing efficace che alterna sapientemente accelerazioni e rallentamenti, riportando alla memoria le band sopra citate senza però cadere in emulazioni prive di personalità. La successiva “The Pessimist” ricalca le orme di “Serpent Skin”, dalla quale però si differenzia per un bel breakdown nella metà del brano, seguito da un momento maggiormente melodico che sfocia in un assolo di pregevole fattura. Peccato per il finale del brano, che ci ripropone la parte iniziale, rendendo il tutto eccessivamente prolisso. Proseguendo nella tracklist, arrivano momenti decisamente meno entusiasmanti: i riff, nonché i ritornelli, diventano molto simili tra loro, e in generale la struttura delle canzoni non varia molto tra un brano e l’altro, cadendo peraltro a volte in plagi un po’ troppo evidenti. L’inserimento di qualche altra soluzione stilistica avrebbe reso brani come “Pervert Priest” e “Black Underground” decisamente più piacevoli da ascoltare, evitando così di cadere nella ripetitività. Il finale dell’album ci riserva gradite sorprese: la titletrack è un brano dove i pugliesi mostrano le loro doti migliori, sfoggiando un’aggressività non comune, merito anche di una voce molto efficace. “To Nerve Oneself” è un brano strumentale più tranquillo, dove le sonorità thrash vengono meno per lasciare il tempo all’ascoltatore di riprendere fiato per poi tuffarsi in “Under the Law”, brano che sembra essere tratto da una delle ultime fatiche di Chuck Billy & co.

Una nota di merito va alla produzione dei Golem Dungeon Studios, che mette in risalto tutti gli strumenti, donando all’album un sound più che mai adatto.

A conti fatti, “Hidden Depravity” si rivela un album piacevole da ascoltare, ma che alla lunga potrebbe stancare a causa di una certa ripetitività, oltre ad alcune cadute evitabili, viste le capacità messe in campo dai musicisti. Nella speranza che con l’esperienza si possano limare questi difetti, suggerisco questo album a tutti i fan del thrash con influenze southern, non rimarrete delusi.

Alberto “80’s Thrasher” Franco

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