Recensione: Höllenzwang (Chronicles of Perdition)

Di Simone Volponi - 25 Marzo 2018 - 17:58
Höllenzwang (Chronicles of Perdition)
Band: Abigor
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Se un album, dopo il primo ascolto curioso, ti spinge a ripetere l’esperienza più volte per scavare tra i suoi solchi a caccia di particolari che aiutino ad approfondirlo, si può dire che ha già raggiunto il proprio obiettivo.
Poi ci sono i “ma” e i “però”.

Höllenzwang (Chronicles of Perdition)” è il decimo album in carriera per gli Abigor, storica black metal band austriaca, e vede per la seconda volta la presenza dietro il microfono di Silenius (Summoning) in veste di ospite, ma di fatto vero mattatore.
Höllenzwang” è il titolo di un libro del famigerato (e forse mitologico) alchimista Johann Faust, e sta per il tedesco “compulsione infernale”. Inferno e compulsione che si sentono tutte nel corso delle nove tracce proposte.
L’ingresso di “All Hail Darkness And Evil”, caotico e timbrato in una produzione volutamente lo-fi, rappresenta un Maelstrom demoniaco dove gli Abigor gettano liquidi neri come la pece uniti a fiamme impietose. La traccia si raddrizza, per modo di dire, e procede a spron battuto caratterizzata dalla prestazione variegata e dissonante di Silenius, che trascina l’ascoltatore attraverso una narrazione orrorifica e istrionica.
Nelle parole del gruppo “Höllenzwang” è stato registrato basandosi sul minimalismo come legge assoluta, senza tracce di chitarra aggiuntive né orpelli da studio. Un’opera impulsiva ridotta all’osso, lasciato nelle mani di Silenius che lo rosica e lo mortifica con furia iconoclasta neanche fosse Cerbero. La volontà di esprimere in toto la forza malvagia del loro sound gli Abigor la dimostrano con i cori d’oltretomba dell’ottima “Sword Of Silence”, ma anche nel breve incipit narrato di “Black Death Sathanas – Our Lord’s Arrival” subito soverchiato da un mid tempo sulfureo e da una sfuriata Black Metal all’arma bianca, che il cantate conduce variando in molteplici facce il suo timbro (c’è anche un accenno di canto “elfico” direttamente preso dalla sua band principale) concludendo con un rantolo famelico.
La bestia austriaca è furiosa e intransigente nello scavare pozzi indiavolati fino alle viscere dell’animo, e non concede tregua né l’appiglio di una melodia affidabile. Ogni traccia è un insieme di parti che vorticano e cambiano di continuo, tra toni declamatori (“The Cold Breath Of Satan”) o scream al vetriolo condite da gorgogli, mormorii cupi e brevi samples vocali (“None Before Him”)

TT e PK lavorano gli strumenti alla vecchia maniera, pestandoli a sangue senza coordinate precise, se non l’assoluta privazione di assoli. Pura violenza tecnica. “Olden Days” è un altro esempio di caos controllato, con i suoi rallentamenti repentini, gli arpeggi sinistri e un’altra prestazione maiuscola di Silenius nelle vesti di predicatore invasato.
La voce femminile che esplode in una risata di pura malvagità tra il clangore delle catene arricchisce la carica satanica di “Christ’s Descent Into Hell”, teatrale e asfissiante, mentre “Ancient Fog Of Evil” conclude l’album con un’altra dissonante marcia ricca di passaggi vocali vorticosi e portata allo scadere del tempo da un inno cavernicolo al Signore delle Mosche.

In tutto 36 minuti talmente ricchi da non poter definire conclusa la valutazione odierna, tanto c’è da riascoltare e assimilare.
I “ma” e i “però”, si diceva. Risiedono nell’impossibilità di estrapolare uno o più singoli, quel pugno di pezzi che rimangono in testa. È probabile che anche gli Abigor stessi, una volta impacchettato il dono infernale, ne abbiano dimenticato la struttura. Ascolto difficile quindi, e magari i fan che seguono abitualmente le gesta del combo austriaco saranno in grado di valutarne a fondo pregi e difetti. Ma il bello di quest’album è il suo riuscire a catturare attenzione e istinto grazie all’atmosfera solenne che trasuda ad ogni secondo e alla varietà di sfumature proposte, unite all’eccellente lavoro di Silenius che in questa sede annichilisce nei suoi mille toni tanti comprimari del genere.
Quindi sì, ritrovarsi alla fine del gorgo con la voglia di premere di nuovo play rappresenta già un successo e un centro pieno per “Höllenzwang”.

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