Recensione: Horned Lord of the Thorned Castle

Di Manuele Marconi - 26 Settembre 2023 - 6:38

Dopo essersi presentati nel 2022 con un EP deflagrante dal titolo “Piercing through the frozen eternity”, i Moonlight Sorcery hanno attirato su di sé l’attenzione di un vasto (se così si può definire il pubblico black metal) bacino d’utenza. I suoni in stile primissimi Emperor, con l’aggiunta di schitarrate affilate continue e battenti hanno portato alla ribalta quello che sembrava essere ciò che qualche profumato definirebbe il “Next Big Thing” del symphonic black metal. Questo “EP” (virgolettato in quanto confinato in tale definizione per l’assenza di 5 minuti rispetto al limite di definizione LP) mosse gli animi al punto da essere seguito a strettissimo giro da un secondo EP (“Nightwind the conqueror from the stars”) , questo molto più strettamente inteso, con solo un quarto d’ora di brani inediti e non particolarmente memorabili: episodio che nelle logiche commerciali odierne, dominate da case discografiche che spremono gli artisti potenzialmente più remunerativi, purtroppo risulta comprensibile e che aveva un po’ ridimensionato le aspettative future. Oggi, nel 2023, si riaffacciano sul mercato con la loro terza uscita, definitivamente Full Length, nominata “Horned lord of the thorned castle”. La ricetta sembra sempre la stessa: è il momento di scoprire se il complesso finlandese ha davvero qualcosa in più della massa o se quell’esordio così folgorante abbia rappresentato l’ennesimo fuoco di paglia.

La traccia di apertura mette già in chiaro le cose, riassumendo lo stile del gruppo: pennate di chitarra senza sosta, sostenute da un tappeto melodico che si intreccia con esse, dando vita ad una sorta di ritornello strumentale che si fissa subito nella testa dell’ascoltatore. Da qui in poi il disco si attesta su livelli costantemente altissimi, dando spazio a tutti i membri del gruppo (in “In coldest imbrace” la batteria prende maggiormente la scena, coadiuvata da un ottimo basso, in “The secret of streaming blood” voce e tastiere prendono la scena), seppur l’incisività della sei corde rimanga il tratto distintivo del gruppo, che in alcuni momenti regala all’ascoltatore attimi di poesia uditiva non da poco, come nell’incipit di “Yonsilma” o in “The moonlit dance of the twisted jestesr’s blood – soaked rituals”, un eccellente brano strumentale. Probabilmente l’unico pezzo un po’ più fiacco del disco è quello di chiusura, che tra l’altro fa riferimento ad uno dei brani di maggior successo dell’esordio, essendo chiamato “Wolven hour Part II”, che in realtà non risulta essere un episodio sgradevole, piuttosto un po’ sgonfio, dominato da una tastiera con poco mordente.

In definitiva il complesso finlandese sembra aver totalmente soddisfatto le aspettative: prova compositiva ed esecutiva da applausi, con il sostegno di una produzione ottima e in linea con la proposta. Possiamo definitivamente dire di trovarci davanti ad un nuovo grande nome del presente, e questo non può che rendere tutti i fan del metal (in generale e del black in particolare) felici. Magari dal prossimo disco si potrebbe tornare a produrre copertine un po’ più “ispirate”, ma a qualcuno interessa davvero la copertina se il libro ci fa viaggiare dentro le nostre sensazioni?

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