Recensione: Humanity – Hour 1

Di Alessandro Marcellan - 17 Febbraio 2009 - 0:00
Humanity – Hour 1
Band: Scorpions
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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78

Cosa significa “moderno”?

Per un hard-rocker che si rispetti, la sua musica preferita dovrebbe stare alla larga da ogni tentazione mainstream, e lo stesso “Eye II Eye”, 10 anni addietro, poteva essere un monito che sì, sperimentare va bene, ma fino ad un certo punto.

Ma gli Scorpions sono tedeschi, sono cocciuti, e dopo il fiasco di cui sopra, dopo una serie di raccolte (studio e live) di discutibile opportunità, dopo le voci catastrofiche (invero mai confermate) di un possibile ritiro dalle scene, e dopo soprattutto che -nel 2004- Schenker&soci avevano finalmente ritrovato la propria identità con il roccioso “Unbreakable”…beh, gli Scorpions decidono che non è il caso di adagiarsi sugli allori, né di andare ancora sul sicuro, e viceversa si rimettono in gioco a 60 anni con un nuovo disco che suona…uhm…”moderno”, eppure (diversamente dall’album del ‘98) “Scorpions al 100%”. Possibile?

Nulla dovrebbe essere impossibile per questa storica band, specie se all’inossidabile duo compositivo Meine-Schenker si affianca un team di mostri sacri del rock e del pop, che parte dai due produttori Desmond Child (l’hitmaker per eccellenza dell’HR anni’80 a supporto di Bon Jovi, Aerosmith, Kiss, ecc.) e James Michael (recentemente anche al timone della “resurrezione” Motley Crue), coinvolgendo come coautori anche altri importanti personaggi, già a vario titolo coinvolti in operazioni di successo “commerciale”: stiamo parlando di Marti Frederiksen (Def Leppard, Ozzy, e ancora Aerosmith e Motley Crue), Eric Bazilian (Journey, ma anche…Ricky Martin), Russ Irwin (Foreigner, Meat Loaf, Roxette), Mikael ‘Nord’ Andersson (The Rasmus) e Andreas Carlsson (da Bon Jovi e Def Leppard a…Backstreet Boys e Britney Spears!).

Bene, se questa sfilza di nomi tra parentesi vi ha tutt’altro che rassicurato, voi – che non l’avevate ancora preso in considerazione – avrete forse già rinunciato a dare una possibilità a questo “Humanity – Hour I”…e avrete commesso un errore! Sì, perché il disco in esame, come appena riferito, dà un’interpretazione in buona parte convincente di cosa significhi “stare al passo con i tempi” senza rinunciare alla propria personalità, mentre il team anzidetto ha davvero lavorato al meglio e con affiatamento per arrivare a questi risultati.
Non saranno tuttavia i chitarroni ribassati dell’opener “Hour I” (di cui -dimenticavo- è coautore e chitarrista aggiunto John 5 dei Marylin Manson) a convincere gli scettici. Eppure si tratta di un brano potente, oscuro e grintoso, accostabile alle ultime cose degli Europe molto più che a fantomatici ispiratori del ramo nu-metal.
Ma già al secondo tentativo (“The Game of Life”) l’accordatura ribassata del trio Schenker-Jabs-Maciwoda sembrerà ormai una scusa: il riffing e la struttura del pezzo richiama per certi versi lo stile di “Rock you like a Hurricane”, e le melodie, semplicemente, sono in perfetto stile Scorpions. La stessa “We Were Born to Fly” segue alcuni degli stilemi del precedente brano, soprattutto nell’ampio respiro melodico delle strofe in mid-tempo e nell’assolo essenziale e “di supporto” al tutto (come da indicazione in sede di produzione), anche se poi il ritornello risulta un pelino monocorde e non fa decollare il brano definitivamente. Spetta allora a “The Future Never Dies” la conferma che tutti aspettavano, messa in pratica in uno slow degno dei tempi migliori, che nasce da un pianoforte beatlesiano e, dopo un irresistibile bridge “in crescendo”, si tuffa nei cambi di tono di un clamoroso refrain d’altri tempi, interpretato da un Meine intensissimo (e tale e quale 25 anni fa). Questa canzone dà anche lo spunto per una riflessione: le linee vocali del disco, che spesso partono da toni medio-bassi, consentono un ampio raggio di tonalità con l’intenzione (anch’essa nata da un suggerimento del buon Desmond) di rendere i pezzi più “dinamici” proprio sul piano melodico. E un’altra testimonianza pratica si ha immediatamente dopo, con “You’re Lovin’ Me to Death”, un pezzo dai riffs stoppati, cadenzati, sornioni, e che colpisce anche per un bel basso a colorarne le pause, mentre la discreta “321” rappresenta l’animo festaiolo della band: pur essendo le sue strofe facilmente ricollegabili all’oscurità heavy del pezzo d’apertura, è altrettanto evidente nel ritornello la volontà di avvicinare il piglio di “Savage Amusement” (e l’ottimismo del testo ne offre una chiara conferma).

La melodia la fa da padrona nella seconda parte del disco. E la solare ballad “da viaggio” “Love will keep us alive”, è quanto di meglio ci si potesse aspettare in questo ambito, con i suoi arpeggi, le sue melodie accattivanti, e quella perfetta semplicità che costituisce una vera e propria lezione ai recenti Bon Jovi. Lo stesso giro di chitarra elettrica iniziale di “We Will Rise Again” (minimale, “moderno” e vagamente disarmonico) risulterà in parte fuorviante, per un pezzo che si contrassegna principalmente per una strofa acustica, sussurrata da Meine, che rimanda dritti agli anni’70 della band, prima che il refrain elettrico si riappropri della scena.
La coppia di tracce a seguire, due mid-lenti acustici, non si distacca da alcuni dei leitmotiv già menzionati, ma le ottime melodie e l’ampio range vocale sono solo due degli ingredienti della toccante “Your Last Song” e della più movimentata “Love si War” (che si esalta nella progressione elettrica dello splendido bridge, rimandandomi ancora all’epoca di “In Trance”).

Un brano dall’andamento anomalo è invece “The Cross”, sorta di HR dalle influenze alternative, e non è un caso la presenza come guest di Billy Corgan (Smashing Pumpkins) nel rallentato bicorde centrale.
La conclusione spetta al singolo apripista e “pezzo da novanta” dell’album: “Humanity” ci fa sognare nell’attacco arpeggiato (tipico di quei classici lentoni anni’80), ci spiazza nella grintosa rabbia del refrain, ci fa sussultare nei toni melodrammatici delle orchestrazioni, e raggiunge forse il suo picco in un inciso centrale di rara intensità emotiva; e pazienza se il giro armonico della strofa rinvia clandestinamente a “The Show Must Go On” (Queen), sono gli stessi Scorpions a scherzarci sopra, nella sfumatura finale in cui, dalla puntina di un grammofono, passa una jazz-band di fiati a “scimmiottare” il refrain, stemperando quell’atmosfera che volutamente si era fatta disfattistica (preludio anche ad atmosfere positive di un prossimo full-lenght?).

Dimenticavo: quale valore aggiunto dell’album, va menzionato il fatto che (come suggerisce il titolo) “Humanity – Hour I” è anche la prima parte di un’opera concettuale (la seconda dovrebbe vedere la luce entro il 2009) i cui testi, pur non essendo strettamente legati fra loro da una storia, trattano comunemente dei mali della società odierna inquinata da individualismo, egoismo e vanità, con la title-track conclusiva che, nei suoi significativi “Auf wiedersehen…”,“Au Revoir…” e “Adios Amigo”, esprime idealmente a tutto il mondo un pessimistico saluto ai valori dell’umanità.

Probabilmente è superfluo dare un voto numerico a questo disco, che non ha alcuna velleità di stabilire nuovi standard, ma semmai di dimostrare che gli Scorpions potevano farcela a superare la prova del tempo con un lavoro che suonasse “attuale” senza avere quello sgradevole e sospetto retrogusto di insincera “commercialità”. E così è stato: un album onesto, autentico, degli Scorpions, catapultato nel 2007.

E allora arrivederci, con rinnovata fiducia, cari vecchi Scorpioni.
Anzi, Auf Wiedersehen!

Alessandro ”poeta73” Marcellan

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Tracklist:

01. Hour I – 03:26 (Rudolf Schenker/James Michael/Desmond Child/John. 5)
02. The Game Of Life – 04:04 (Klaus Meine/Child/Mikael Nord Andersson/Martin Hansen)
03. We Were Born To Fly – 03:59 (Matthias Jabs/Eric Bazilian/Marti Frederiksen)
04. The Future Never Dies – 04:03 (Meine/Child/Bazilian/Jason Paige/Russ Irwin)
05. You’re Lovin’ Me To Death – 03:15 (Schenker/Child/Andreas Carlsson/Bazilian)
06. 321 – 03:53 (Schenker/Child/Frederiksen/Paige)
07. Love Will Keep Us Alive – 04:32 (Meine/Child/Bazilian/Frederiksen)
08. We Will Rise Again – 03:49 (Jabs/Michael/Paige/Child)
09. Your Last Song – 03:44 (Schenker/Child/Bazilian)
10. Love Is War – 04:20 (Jabs/Michael/Child/Frederiksen)
11. The Cross – 04:28 (Jabs/Michael/Child/Frederiksen)
12. Humanity – 05:26 (Meine/Child/Bazilian)

Line Up:

Klaus Meine – Voce
Rudolf Schenker – Chitarra
Matthias Jabs – Chitarra
James Kottak – Batteria
Pawel Maciwoda – Basso

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