Recensione: Hunt of the Rawhead

Di Andrea Bacigalupo - 22 Dicembre 2020 - 8:30
Hunt of the Rawhead
Band: Injector
Etichetta: Art Gates Records
Genere: Heavy  Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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72

Terzo album per gli Injector di Cartagena (Spagna), dal titolo ‘Hunt of the Rawhead’ e reso disponibile dal 18 dicembre 2020, tramite Art Gates Records.

Band nata nel 2012 che, dall’uscita del primo EP ‘Harmony of Chaos’ del 2013, ha subito solo un cambio di formazione nel 2017, quando il batterista Anibal (discendente… chissà… dell’Annibale che proprio da Cartagena partì per scatenare la seconda guerra punica?) è subentrato ad Alberto Dannaya, dimostrando buona coesione e forza tra i musicisti.

Ed è proprio ‘forte’ l’aggettivo che più si adatta al nuovo lavoro: ‘Hunt of the Rawhead’ è un insieme di sferzate, sfuriate, cavalcate ed andature marziali legate da potenti linee melodiche, con il risultato che Heavy, Thrash e Power Metal sono stati fusi in un tutt’uno. L’armonia del caos, in pratica, richiamando il loro esordio.

Quello che fa degli Injector una buona band è l’abilità tecnica, esaltata attraverso una produzione pulita che riesce a mettere in luce la validità di ogni singolo strumento.

Il lavoro di chitarra è corposo, sofisticato ed allo stesso tempo aggressivo e tagliente. I riff, le accelerazioni, le frustrate ritmiche, i duelli e gli assoli sono continui attacchi sonici sui quali s’innescano strofe potenti e refrain dinamici cantati con voce dura e determinata, non troppo estesa nella realtà, ma comunque molto adatta allo stile dei nostri.

Dà un valore aggiunto l’uso del basso, preciso e di gran qualità, tenuto giustamente in buona evidenza.

E’ il songwriting che non sempre convince. Va bene la duttilità, estendere i propri orizzonti e non rinchiudersi nei soliti schemi. Ai quattro questo riesce, per carità, senza creare quella sensazione di ‘ibrido’ che ci assale quando i generi sono suonati quasi a compartimenti stagni. A volte però eccedono, cercando di dire troppo: questo porta un po’ di dispersione, una perdita di fluidità ed è proprio la gran tecnica a sopperire a questi momenti, evitando eccessivi appesantimenti.

Un esempio di quanto sopra è ‘Arcane Soul’, brano in cui gli Injector vogliano tirare fuori tutta la loro furia interiore. L’andatura principale del brano sinceramente non prende, non riesce ad entrare ma l’assolo … l’assolo esce prepotentemente dal pezzo creando, prima insieme all’arpeggio di una chitarra acustica e poi con una ritmica durissima, un clima che ti avvolge come una bolla e ti trasporta in un viaggio nell’ignoto. Vera Classe, con la ‘C’ maiuscola (ma d’altronde, dalla terra della chitarra classica, cosa ci potevamo aspettare?).

Anche la strumentale ‘Interstellar Minds’ risulta un po’ ostica: l’atmosfera data dalle chitarre prog c’è, il pezzo dice che gli Injector sanno fare praticamente di tutto, in fondo si sente anche una certa sofferenza interiore, ma poi il brano passa e va … senza colpire più di tanto.

Di contro ci sono dei pezzi che, più che stamparsi in mente, ti stampano contro un muro.

Giusto per citarne alcuni, il tiro cadenzato di ‘Into the Black’ è durissimo e non si può rimanere indifferenti alla melodia che accompagna l’emozionante refrain.

Il Thrash di ‘Dreadnought Race’ colpisce come un maglio: veloce, abrasiva e feroce, con i suoi cori imperiosi e le chitarre che arroventano l’aria.

Rhythm of War’ cambia completamente: TrueMetal allo stato liquido, potente e prepotente, con la sua cadenza marziale incessante ed il suo ottimo assolo, è un rullo compressore che avanza senza ostacoli.

Feed The Monsters’ è un Thrash che non la manda a dire e che fa alzare di scatto i Death Angel.

Alla fine, ‘Hunt of the Rawhead’ è un lavoro potente e dinamico che, nonostante qualche sbavatura, riesce ad accontentare un sacco di palati. Da ascoltare andando oltre la superficie. Le sensazioni che colpiranno saranno tante e gli Injector sono una band sicuramente da tenere sotto osservazione.

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