Recensione: III

Di Manuel Gregorin - 30 Dicembre 2022 - 8:18
III
Band: Sword
Etichetta: Massacre Records
Genere: Heavy 
Anno: 2022
Nazione:
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57

Chi va piano va sano e va lontano, e magari riesce anche ad incidere il suo terzo album. Come nel caso dei canadesi Sword (da non confondere con gli heavy/stoner statunitensi The Sword).
Infatti a novembre di quest’anno, i true metallers del Quebec sono tornati sul mercato con III, il loro terzo album con cui, dopo ben trentaquattro anni, danno finalmente un seguito a Sweet Dreams del 1988, ultimo loro sigillo prima dello scioglimento avvenuto ad inizio anni 90. La band canadese però non è rimasta ferma nella naftalina da quella volta: già nel 2011 infatti c’è stata la reunion , anche se da allora la loro attività è stata incentrata solo sui concerti dal vivo.
Finché, in tempi recenti gli Sword hanno deciso di colmare il loro vuoto discografico realizzando un nuovo album che và ad aggiungersi all’esordio Metalized del 1986 oltre al già citato Sweet Dreams. E così, una volta ripescato un vecchio demo con alcune registrazioni, ecco arrivare il terzo sigillo della loro carriera in cui troviamo ancora la formazione degli esordi composta da Rick Hughes alla voce, Mike Plant alla chitarra, Mike Larock al basso e Dan Hughes alla batteria

Si parte con Bad Blood, un heavy metal classico con sfumature epiche, tutto sommato abbastanza standard ed ordinario. Si passa al singolo (I Am) In Kommand, già in circolazione da qualche settimana e la musica non cambia granchè. Il riff iniziale lascia ben sperare ma poi il pezzo si appiattisce su un una metal song magari non orribile, ma uguale a molte altre. A questo punto si comincia ad avere il dubbio che la spada sguainata dei quattro canadesi, dopo tutti questi anni, si sia un po’ arrugginita.

Odore di ruggine che si avverte anche con Surfacing dove, come nella precedente traccia, dopo una partenza con qualche buon spunto la band si assesta su una composizione senza particolare colore. Le cose non cambiano granché neanche con Unleashing Hell. Il pezzo con il suo andamento vagamente street riesce a trasmettere una certa atmosfera un po’ sanguigna, ma che comunque non basta a risollevare le sorti del disco.

Pare evidente che a questo nuovo lavoro manchi l ‘inventiva. Che nel metal classico l’originalità non sia una prerogativa fondamentale credo sia chiaro a tutti, ed infatti il problema degli Sword odierni non sono tanto i riff e le ritmiche uguali a molte altre cose già sentite, ma la superficialità con cui vengono sviluppate. Le idee vengono buttate senza andare alla ricerca del passaggio o dell’intuizione, magari non geniale, ma che riesca almeno a dare quel brio e quel sapore in più ai pezzi. Inoltre le canzoni non riescono a sorprendere. Ogni assolo, ogni cambio ed ogni passaggio si trova nel punto preciso dove ci si aspetta che sia. La produzione ha un buon tiro moderno, la tecnica non manca ma tutte le idee vengono sviluppate con troppa sufficienza. Oltre a tutto questo ci si mette anche il cantante Rick Hughes a dare il suo contributo alla (non) riuscita del disco. La sua interpretazione dei brani risulta molto piatta facendo sentire la mancanza di qualche linea vocale accattivante, o di quel ritornello che ti si stampa in testa.
Nonostante il cantante abbia ancora una voce più che soddisfacente, si ha davvero l’impressione che Hughes canti i brani con poca convinzione. Le linee vocali sono molto semplici, condite da qualche acuto messo a caso che di certo non basta a risollevare la situazione.

Si continua ancora con Spread The Pain dove sostanzialmente non si dice niente di più di quanto ascoltato finora: riff quasi heavy/thrash già sentiti mille altre volte e un ritornello scritto giusto per riempire le battute. Infine i soliti assoli di Mike Plant ben suonati ma incolori.
Mike Larock e Dan Hughes alla sezione ritmica fanno il loro dovere con decoro, ma senza le canzoni valide il loro lavoro da solo non è sufficiente a raddrizzare la situazione.

Took My Chances con il suo andamento doom prova a portare una qualche novità senza però raggiungere particolari vette. In conclusione Not Me No Way, un classico heavy alla Saxon di cui, sinceramente, possiamo anche fare a meno avendo ancora in circolazione quelli originali con Biff e soci ancora al top della forma.

Insomma, un disco molto anonimo. Magari non propriamente brutto, ma che non regala particolari emozioni. Ben suonato, ben prodotto ma che sostanzialmente non dice niente di particolarmente interessante.
In pratica è come se gli Sword avessero confezionato un album di soli filler.
Con un mercato odierno che pullula di band valide, è impensabile pensare di tirare a campare affidandosi solamente al glorioso passato, rischiando di restare schiacciati dalla concorrenza.
Dispiace dirlo, ma una delle poche cose buone di questo album è la durata sotto i trentacinque minuti. Un minutaggio superiore avrebbe reso III veramente pesante da digerire.

Di certo l’età non più verde non può essere additata a causa o scusante per un flop tanto chiaro. Basti guardare ai redivivi Trauma, anch’essi riformatisi dopo decenni ma recentemente capaci di piazzare sul mercato l’ottimo Awakening, già recensito su queste pagine non molto tempo fa.
Gli Sword avevano dalla loro parte buone premesse: due buoni dischi in catalogo, la formazione ancora originale e gli ultimi tredici anni di rodaggio dove poter lavorare meglio sui nuovi pezzi.
Per i fans era lecito avere buone aspettative, per gli Sword era quasi doveroso offrire di più…

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