Recensione: Impossible Figures

Di Onirica - 22 Dicembre 2003 - 0:00
Impossible Figures
Band: Magellan
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2003
Nazione:
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80

La vena progressiva dei fratelli Gardner non si esaurisce e sfocia in questo album pieno di passione alle porte della fredda stagione. La coppia si ricostituisce tra la folla dei progetti che circondano quello principale chiamato Magellan con un progressive rock di nuova generazione che niente invidia alle altri grandi band prodotte dall’etichetta americana, ma anzi esalta una composizione netta e coerente tipica dei gruppi formati al massimo da tre musicisti. Nel caso di cui ci stiamo occupando in questa recensione, le menti che hanno contribuito al songwriting sono soltanto due e come se non bastasse sono attraversate dallo stesso sangue; il batterista è semplicemente ospite di questa realizzazione e non componente ufficiale. Insomma audacia e personalità dalla fantastica copertina fino a raggiungere l’ultimo secondo di questi 45 minuti e la cosa non dovrebbe stupire chi legge dato il nome degli innumerevoli artisti di grande fama che hanno collaborato con Trent e Wayne riconoscendo e confermando in questo modo il grandissimo talento che accomuna i fratelli. Da sottolineare il coraggio di inserire sfiziosi frammenti di estrema originalità che in un certo senso spezzano la tensione che si respira dall’inizio alla fine, inserti fugaci che si accostano benissimo al dualismo accorgimenti/arrangiamenti che non esita un istante a spiazzare l’ascoltatore con invenzioni assolutamente controproducenti o peggio sconvenienti anche se sempre sorprendentemente assurde/alienanti. Conclusa una delle frasi più impulsive mai prodotte dal sottoscritto, mi dirigo verso la descrizione di un lavoro molto piacevole da ascoltare ma pur sempre destinato a restare nell’ombra dedicata ai grandi artisti non riconosciuti per colpa di un metodo di stesura dei pezzi forse troppo dipersivo e quindi troppo fragile per poter restare in piedi di fronte alle infinite orecchie superficiali che stanno invadendo il nostro pianeta da qualche anno a questa parte. 

Trent Gardner – Lead Vocals, Keyboards, Trombone
Wayne Gardner – Guitars, Bass, Backing Vocals
Guest Musician: Jason Gianni – Drums

Ho aspettato cinque settimane prima di scrivere qualche riga per questo album perchè se devo essere sincero all’inizio non mi ha proprio convinto, pensavo soffrisse di una grave forma di abbassamento della qualità artistica direttamente proporzionale al proseguimento dei secondi, per questa ragione qualche giorno fa ho deciso di focalizzare la mia attenzione sulle tracce conclusive. Dopo un inizio che definire scoppiettante è poco, la struttura dei brani diventa più profonda ed introspettiva a scapito dell’aspetto più diretto registrato nelle prime posizioni, non sempre si mira al centro del bersaglio ma girando attorno al fulcro della composizione il duetto svela nuove dimensioni e sfaccettature multicolori del proprio modo di vedere la musica. Certo non vi è dubbio che in alcuni casi sembra quasi che i due fratelli stiano cercando di evitare il nocciolo della questione, questo non posso negarlo! Assodato che il pezzo in seconda posizione sia un monumento, mi riferisco a brani che invece hanno bisogno di qualche ascolto in più per essere sciolti dall’ingarbuglio di note da cui sono costituite. Come ho sempre affermato nel progressive rock non c’è niente di meglio di fondere utile e diletto tramite le parole chiave contese dai dilettanti (tecnica e melodia). Proprio in Late For Church sale e zucchero vengono uniti nello stesso piatto con riff circolari e aggressivi insieme a tastiere disarmanti, la casa in costruzione cresce e mentre si trasforma e noi siamo invitati ad entrare per visitare la culla in cui viene distesa la voce di Trent Gardner. Non avete bisogno del mio aiuto per interpretare il contenuto di episodi di durata minore come quelli in quinta e sesta posizione, quindi raggiungiamo la parte cui prima accennavo ed è qui che vorrei soffermarmi un pochino sulla sezione strumentale. Nessuna occasione come A World Groove per verificare la performance di Wayne Gardner al basso, tanto eccezionale da imporsi come migliore prestazione strumentale del disco dalla parte opposta rispetto ad una chitarra troppo spesso scarna e povera di idee nelle mani delle tastiere sicuramente più decise e preparate nelle direzioni da prendere. La batteria di Jason Gianni abbastanza soddisfacente in tutto il disco è praticamente inesistente nella prima parte del brano di chiusura dove predomina la componente elettronica ad accompagnare la voce di Trent, il resto del pezzo è invece affidato ad una chitarra acustica che svolge al meglio il suo dovere, niente da dire.    

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

01. Gorilla With A Pitchfork (1.24)
02. Killer Of Hope (10.03)
03. Bach 16 (2.46)
04. Late For Church (6.15)
05. Confessor’s Overture (2.24)
06. Hymn For A Heathen (3.15)
07. A World Groove (6.30)
08. Counterpoints (5.59)
09. Feel The Cross (6.36)

 

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