Recensione: In Nomine Sanguinis

Di Marco Tripodi - 18 Novembre 2021 - 8:00

E’ passato un lustro dal precedente capitolo discografico dei vampiri capitolini (“Candyland“), rispetto al quale oggi la band conta due nuovi inserti in formazione, ovvero Flavio Gianello alla chitarra (al posto di Giorgio Ferrante) ed il ritorno del “vampir prodigo” Fabian Varesi, che aveva lasciato all’indomani di “Moonlight Waltz” (2011) e che aveva condiviso la carriera con il Teatro sin dal secondo album, “The Vampire Chronicles” (1999); a partire dal successivo “Bloody Lunatic Asylum” (2001) arriverà nelle file dei cainiti anche Sonya Scarlet, dunque possiamo dire che con “In Nomine Sanguinis” si è ricostituito un terzetto storico del più noto marchio vampiric-metal italiano. Assieme ai Death SS credo che i Theatres Des Vampires siano gli intestatari più titolati ed importanti per quanto riguarda certe sonorità “cremisi”, gotiche ed esoteriche, pur sussistendo una profonda differenza tra gli stili delle due band e la loro storiografia; in qualche misura tuttavia bisogna fare riferimento a loro quando si parla di occultismo borchiato tricolore. Un’altra analogia consiste nel fatto che entrambi stanno pubblicando in questa coda 2021 i loro rispettivi decimi album, un traguardo di longevità, costanza e tenacia non indifferente considerando i generi di appartenenza e la bandiera sotto cui tali dischi vengono prodotti e pubblicati. Quando i mostri di Steve ed i vampiri di Sonya hanno cominciato a percorrere i cimiteri italiani con la loro musica (alla fine dei ’70 per i Death SS, circa 20 anni dopo per i Theatres Des Vampires) non era esattamente semplice offrire una proposta simile, sia in termini di audience che di music business pronto ad accogliere e valorizzare progetti del genere. Ebbene, entrambi sono ancora vivi, vegeti ed agguerriti, pronti a far valere il proprio talento e la propria creatività, forti dell’appoggio incondizionato del Maligno (lui si, un vero business man preparato e sul pezzo).

In Nomine Sanguinis” è un gran bell’album, a mio parere superiore a “Candyland“, che manteneva assolutamente dignitoso lo standard qualitativo della band ma che lasciava intravedere anche qualche momento stanchezza ed una fase compositiva leggermente in stallo, sebbene la professionalità dei nostri smussasse ed edulcorasse al minimo ogni difetto.  Queste 10 nuove tracce sono invece un bel colpo di reni, una frustata che dimostra come i T.D.V. abbiano ancora da dire e da dare. Siamo definitivamente su sonorità gothic (del resto, accade da tempo nel Teatro, anche se di volta in volta affiorano sfumature ora elettroniche, ora dark, ora new wave, ora più strettamente metal). Il calderone sonoro insomma rimane lo stesso ma il songwriting appare decisamente più fresco, ringiovanito, catalizzato. La scaletta esprime diversi punti di forza; intanto in generale una grande eleganza e sensualità, trasversali lungo tutti i 40 minuti circa di durata.

Il terzetto d’apertura composto da “Death In Venice“, “Endless Darkness” e “Christina” (scelto come singolo con tanto di videoclip) rappresenta la quintessenza del gothic metal sinuoso, dolce e spinato al contempo, tipicamente Theatres Des Vampires, con una sezione ritmica solida, le keyboards di Varesi ad impreziosire, cesellare e dare profondità, una chitarra dal timbro tagliente ed affilato, e la Scarlet a condurre le danze come la più pericolosa ed ambigua delle ninfe diaboliche. “Death In Venice” è davvero un ottimo brano d’apertura che segna il tono dell’album e misura la raffinatezza e la “maniera” della band. “Lady Bathory” è a mio giudizio il climax del disco, un pezzo ricco, articolato e spiazzante, nel quale la band molla i freni e dove Sonya esplora mille personalità diverse. Una certa aggressività di fondo connota questi 4 minuti scarsi. Davvero esaltante l’interpretazione della Scarlet, una scheggia impazzita, una erinni furiosa in cerca di sangue esattamente come la dama ungherese alla quale è dedicata la canzone e la sua performance.

Il perfetto contraltare di tanta macabra eccitazione è probabilmente “The Void Inside“, canzone decisamente coraggiosa da parte dei T.D.V. ma assolutamente coerente con la loro cifra stilistica e – immagino – con i loro ascolti musicali. Ci spostiamo temporaneamente in territori extra metal, synth/dark/pop riletto in trasparenza tra pizzi gotici e velature lunari, una traccia di grandissimo gusto e squisitezza che ho personalmente apprezzato assai. “My Cold Heart” è forse il brano che mi ha lasciato meno, ben fatto ma privo di grandissimi spunti. La title-track si ammanta di atmosfere degne del proprio titolo, un incedere apparentemente semplice e lineare che in realtà cela diverse sfumature nascoste, capaci di palesarsi all’ascoltatore ascolto dopo ascolto. Un gran lavoro (di fino) della chitarra, chorus maestoso ed un break drammatico e teatrale durante il quale Sonya recita una litania in italiano. “The Golden Cage” e “The Bride Of Corinth” si rivelano altre due canzoni notevoli, capaci di aggiungere ulteriori suggestioni alla proposta complessiva di “In Nomine Sanguinis“, soprattutto per le brillanti scelte melodiche che esaltano in chiaroscuro la “tenebrosità” della band. “Till The Last Drop Of Blood” chiude l’album nel modo più consono trattandosi dei T.D.V., un congedo che mette a fuoco una volta ancora e di più gli stilemi “classici” della band.

I T.D.V. hanno raggiunto da tempo una maturità indiscutibile e lo dimostrano con un disco davvero all’altezza del loro monicker e delle aspettative della propria fan-base. Esattamente come accaduto sino a non molto tempo fa anche per i cugini Death SS, uno zoccolo duro ed irriducibile del popolo metal (prevalentemente, per non dire esclusivamente, nostrano) non ha mai riconosciuto alla band il proprio status, preferendo fare ironia e cibandosi di pregiudizio e snobismo; all’estero la popolarità di questi gruppi italiani e fuori discussione, fino ad arrivare a veri e propri culti idolatreschi (nel caso dei T.D.V. il sud America è praticamente ai loro piedi). Per averli visti dal vivo più volte posso per altro confermare quanto Scarlet e compagni siano un’autentica macchina da guerra (e da intrattenimento) sul palco. Sarebbe l’ora finalmente di dare a Caino quel che è di Caino. Viva i Vampiri!

Marco Tripodi

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Genere: Gothic 
Anno: 2016
70