Recensione: In The Midst Of Life We Are In Death
Trascinarsi lentamente, con fatica, su una terra arida, brulla; vagando a tentoni nel vuoto di una cupa nebbia via via sempre più buia. Un viaggio da incubo, nelle tenebre di un mondo privo di vita, di colori, ove tutto sembra in sospeso in attesa di qualcosa che non giungerà mai.
Questo, si potrebbe sintetizzare in parole, è il territorio musicale di caccia dei danesi Cerekloth, formazione di recente nascita (2008) che, dopo alcuni assaggi discografici (“Pandemonium Prayers”, EP, 2008; “From Morphing Dust To Festering Slime”, demo, 2009; “Halo Of Syringes”, EP, 2011), taglia finalmente l’agognato traguardo del debut-album: “In The Midst Of Life We Are In Death”.
Allineandosi a una recente tendenza evidenziatasi per esempio in band come i Black Therapy, i Cerekloth propongono una rivisitazione del death metal inserendo in esso cospicue contaminazioni heavy che rimandano direttamente all’inizio della Storia dell’heavy medesimo, versante oscuro. Quando, cioè, poco dopo i Black Sabbath, gente come gli Angel Witch, i Venom e i Mercyful Fate, per citare i più noti, si accorsero che le dure sonorità del metallo urlante si adattavano perfettamente alle mefistofeliche atmosfere di un’arcana emotività pulsante nelle menti di Kevin Heybourne e compagnia cantante.
Inutile, pertanto, aspettarsi vette d’inarrivabili velocità, riff zanzarosi rasentanti il limite del suono, ritmi iper-cinetici: “In The Midst Of Life We Are In Death” sonda, scava, percorre con circospezione le buie caverne di un suono incentrato sull’impatto granitico dei low/mid-tempo – anche se qualche sfuriata di blast-beats non manca – , su un guitarwork possente e ‘doom-oso’, su un growling lacerante e profondo, sui roventi sussulti di un basso rombante. Questa interpretazione va così a fondo, nello strisciare fra le pieghe sotterranee del terreno, da far dubitare quale sia la corretta definizione dello stile preferito dai Nostri; in equilibrio perenne death e doom, appunto. Uno stile in ogni caso dark, asciutto, monocorde, in cui sono piuttosto rari i momenti melodici intesi in senso stretto. Il growl gutturale di JBP non è certo uno stimolo, per la musica, a voler essere in qualche modo accattivante; così come il lavoro delle chitarre, concentrato sulla definizione sequenziale di ‘riffoni’ dall’effetto lisergico, ipnotico se non addirittura soporifero.
Anche se apparentemente indecisi sulla strada da intraprendere definitivamente – o doom, o death (o dark) – i Cerekloth riescono, seppur con fatica, a ritagliare uno stile abbastanza personale, lontano da fogge originali ma comunque indicativo di un carattere sufficientemente formato. Quel che difetta, al contrario, è la capacità di sviluppare le song al di là di un formalismo eccessivo, tale da tarpare le ali a possibili divagazioni oltre dei cliché monotoni e ripetitivi. Si possono passare pure parecchie ore, a girare e rigirare fra “Praeludium & Born Of The Void” e “The Reapers Instant Is Our Eternity”, che ben difficilmente rimarrà nella memoria qualcosa di più del grigiore perenne che ammanta “In The Midst Of Life We Are In Death”. Tanto è vero che, in mezzo a brani troppo dilatati nel tempo, appare azzeccato un brano come “Within The Hollow Crown”, in cui l’anima death prende il sopravvento sul resto grazie, anche, a qualche cambio di tempo sì da scuotere un incedere altrimenti tedioso.
Malgrado le buone intenzioni e l’indubbia bontà dei Cerekloth quale ensemble dotato di una ferma attitudine, sempre coerente a se stessa, “In The Midst Of Life We Are In Death” non riesce a decollare per elevarsi da una qualità compositiva ancora acerba, foriera di qualche sbadiglio di troppo.
Daniele “dani66” D’Adamo
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