Recensione: Infamy Divine [EP]

Di Vittorio Sabelli - 16 Gennaio 2014 - 0:07
Infamy Divine [EP]
Band: Perversity
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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69

 

La storia degli slovacchi Perversity inizia nel 1995, quando l’ex cantante Martin Marincak e il chitarrista Jozef “Dodi“ Kosc decidono di formare una band death metal. Nel giro di un paio di anni la band dà alla luce il primo demo “The Embarrassed”, seguito dal secondo “Personal” del 1999. Entrambi hanno dato alla band una buona fama nel circuito underground, portandoli all’attenzione dell’etichetta francese Perennial Quest, per la quale esce il primo full length “In The Garment Of Lust”. Lo stile è brutale e spietato e allo stesso tempo tetro e oscuro, caratteristica dominante del loro sound. Seguiranno “Words Like Poison” l’anno successivo che evidenzia un passaggio a un maggiore tecnicismo rispetto al primo disco.

Nonostante il periodo produttivo la band è afflitta da problemi interni, che porteranno a diversi cambi in line-up, ma senza che la band si sfaldi. L’unico neo sono le tempistiche per il terzo disco “Beyond The Reach Of Heaven”, uscito nel 2008, seguito dall’ultimo “Ablaze“, datato 2011. L’ultimo arrivo in casa Perversity, quello del batterista Peter Jakubik risulta importante per la creazione di questo EP Infamy Divine”. La band dimostra di esser propensa a sperimentare sulla propria pelle nuove soluzioni che in qualche modo rendono il loro approccio comunque brutale ma con aperture stravaganti.

Quattro colpi secchi di rullante danno inizio alle danze di “Vermin”, comandate dai riff del duo Kosc/Calko, che innescano ritmiche infernali, che rivelano radici (non troppo) lontane in ben più blasonate act quali Suffocation e Cannibal Corpse. La voce di Handzus viaggia su livelli da oltretomba e s’incastra ‘a mestiere’ con il ritmo imposto, con testi che rispecchiano il nome della band.

Che i Perversity non siano band di primo pelo si nota anche nella successiva ”Angel Of Prostitution”, che non cede un secondo sotto i colpi inflitti dal quintetto, girando in maniera liscia e fin troppo scontata per quanto riguarda la direzione che le varie sezioni intraprendono…ma ecco il colpo di coda su un finale in fader che vede un piano sorretto da un background di archi che alleggerisce l’aria prima della successiva “Goddess Of Maggot”, in cui Jakubic si rivela l’asso trainante della band col suo drumming ossessivo ma allo stesso tempo ‘leggero’, per quanto il termine lo conceda. Handzus è comunque il leader che per i suoi poco più di due minuti non lascia scampo col suo growl da capogiro.

Stessa cosa per “Incest Of Flesh”, ancorata su riff d’altri tempi e un mini solo di basso su un tempo dispari che cambia momentaneamente atmosfera e ritornerà a salvarci da ulteriori attacchi interni da parte della band; che non risparmia colpi, incluso un solo di chitarra atonale che stempera il continuo incessante ritmo martellante. “Supreme Accusation” rallenta il tiro, almeno inizialmente con un “quasi-doom” in cui le chitarre lavorano melodicamente, ma solo fino al nuovo ritorno di Handzus, per tornare in stile ‘swedish’, ma sempre e solo per brevi momenti di contrasto con quello che è lo stile spaccaossa dei Nostri. Ancora un’ultima sfuriata e poi il saluto momentaneo con la conclusiva “Infamous”, in cui il pianoforte usa un tema di chiaro stampo siciliano per salutarci.

Che dire, un EP ben suonato con brani che girano bene ma poco utili, sia alla causa metal che alla band stessa. Tutto sommato non dà l’impressione nè di cambiare percorso, nè tantomeno di voler regalare altro materiale esplosivo ai fan. Sembra quasi un ‘ci siamo ancora’, che a mio avviso deve tramutarsi in nuovo materiale originale e soprattutto creativo, visto che la band tecnicamente ha tutte le carte in regola per regalare qualcosa in più di brani alquanto scontati.

Vittorio “versus” Sabelli
 

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