Recensione: (In)Humanity
Fra le tante, tantissime definizioni atte a tentare di catalogare il più precisamente possibile le varie sottospecie di metal, c’è pure ‘melodic blackened death metal’ che, nelle intenzioni della label Metalgate Productions, dovrebbe calzare a pennello i Secret Of Darkness.
Band della Repubblica Ceca che, nonostante sia nata nel 2005, non ha avuto sin’ora una carriera prolifica. Un EP nel 2008 (“… And The Dark Begins”) e questo full-length, “(In)Humanity”, rappresentano infatti tutta la sua discografia anche se, a onor del vero, il lavoro è stato realizzato nel 2011. Con che, mentre quest’ultimo è giunto solo adesso sugli scaffali, la band stessa ha avuto modo nel frattempo di scrivere nuovo materiale bell’è pronto da mettere su disco.
Comunque sia, “(In)Humanity” è un debut-album che arriva dopo un lustro di fervente attività in sede live che, di fatto, ha reso adulta la formazione di Varnsdorf. Adulta nel saper definire con sufficiente precisione quale sia l’idea primigenia da mettere in musica, sì da addivenire a uno stile piuttosto personale e abbastanza riconoscibile in mezzo ad altri. Certo, l’impresa non è facile, poiché nello sterminato territorio del death metal tutto, o quasi, è già stato scritto. Non per ciò, invero, restano inesplorate alcune zone, magari poste ai confini che delimitano il death dagli altri generi. Come, in questo specifico caso, il black. Black che i Nostri mostrano, ovunque nel CD, di avere in grandi dosi nel sangue. Non così tanto da far loro oltrepassare quell’invisibile, sottile linea di demarcazione fra una tipologia di metal estremo e l’altra, ma abbastanza da condizionarne pesantemente il sound. A un robusto tronco sulla cui corteccia si leggono facilmente gli stilemi di un death metal melodico assai classico, si levano ramificazioni dalle tinte davvero oscure. Anzi, nere. Quasi fossero propaggini carbonizzate senza vita, memorie di un ancestrale incendio la cui traccia segna in maniera indelebile le menti di Vojta e compagni.
I possenti riffoni di David e Karel, quindi, erigono un muro di suono tipico della scuola prima thrash poi death (storicamente parlando), mantenendosi ‘carnosi’ e ricchi di melodia pure nelle più concitate fasi dettate dai blast-beats della batteria. Blast-beats che fungono un po’ da elemento di unione con il black, perché è proprio in tali frangenti che la voce di Vojta passa dal growling allo screaming, allineandosi ai più scellerati vocalizzi dei guerrieri scandinavi. Quella che ne esce è una proposta magari non originalissima, ma almeno dotata di un minimo di carattere per giustificare la messa a catalogo di “(In)Humanity”; fisionomia che punta sempre e comunque verso gli stati d’animo più dimessi e melanconici. Anche quest’attitudine non è certo nuova, nel campo di azione dei Secret Of Darkness, per cui non dà origine – di per sé – a particolari sussulti progressisti. Tant’è che il platter si srotola lungo i suoi quasi quaranta minuti di durata senza particolari fremiti. Senza tuffi al cuore, insomma.
Ed è proprio questo il principale difetto di “(In)Humanity”: l’assenza di passaggi tali da scatenare forti emozioni in chi ascolta. Le song sono ben strutturate e denotano la mano di chi sa il fatto suo, in materie… scolastiche. Più in là non si va, però. Senza entrare nel dettaglio dei brani tutto, o quasi, sa di già sentito. Una sensazione sgradevole foriera di un tedio generalizzato che non tarda ad arrivare. Tanto è vero che i pezzi meno monocordi sono quelli ambient/strumentali come l’intro “The World (Origin)” e l’intermezzo “Desolated Dreams”. Del resto, si può citare “Self Insurrection” come esempio embrionale di uno sviluppo compositivo che i Secret Of Darkness non sono riusciti a portare avanti con efficacia e consistenza.
Benché alla fine l’opera si salvi dall’insufficienza in virtù del buon mestiere in mano ai suoi creatori e al loro discreto carattere, per essa si spalanca la porta dell’oblio. Difficile, difatti, che possa lasciare il segno in un mercato ove la impera la terribile lotta per sopravvivere, troppo fiacca per resistere ai flutti di questo gelido mare in perenne tempesta.
Daniele “dani66” D’Adamo
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