Recensione: Om Moksha Ritam
A me, vecchio metallaro consumato, le commistioni tra generi, i crossovers vari, le contaminazioni stilistiche sono sempre piaciute. Non mi sono mai arroccato dietro la intransigenza musicale, la intolleranza stilistica mascherata da finto integralismo.
Man mano che ho assistito alla globalizzazione, ho visto incrementarsi sempre più i mix, le fusioni di questo tipo, che poi altro non sono se non la naturale conseguenza dell’incrementarsi della globalizzazione stessa.
Fin dagli anni ’60 la cultura indiana e gli influssi induisti e buddisti hanno attirato l’attenzione di tutti gli artisti in generale (dei musicisti in particolare) spesso derivanti da esperienze da loro vissute in quei posti (all’epoca) lontanissimi e misteriosi. Col passare dei decenni, si è verificato il fenomeno suddetto con bands come The Cult che – fin dagli anni ’80 – hanno palesato questa attrazione per culture come quella dei nativi americani e quella, appunto, indiana.
Un valido esempio lo abbiamo anche qui nel nostro beneamato stivale, con gli emiliani Acid Mantra, che nel 2021 hanno pubblicato un album (“Cold Stare”) molto interessante.
Non ho citato a caso gli Acid Mantra, perché anche gli Insomniac partono delle medesime basi doom, intarsiandole con reminiscenze orientaleggianti. Il risultato è intrigantissimo: ritmi mortiferi tipici del doom ma con linee melodiche sì malinconiche ma più ipnotiche e fascinose, più misteriche ed avvolgenti (come una sorta di rituale spirituale) e con una punta dei miei amatissimi e mai troppo compianti Trouble che ci sta sempre. La band di Atlanta, non a caso, è già stata definita (dai maniaci della etichettatura a tutti i costi) “post-doom”.
La opening track sintetizza al meglio tutti i concetti di cui sopra; la seguente, rocciosissima “Mountain” altro non è se non il loro primo singolo, al quale ha fatto seguito l’altro antipasto di questo full-length di esordio, ossia “Awakening”, più introspettiva e intimistica, che è anche la final track dell’album. Una release in cui spicca anche la ammaliante “Forest”. Insomma, anche l’altra etichetta di “psyco-sludge” attribuita loro ci può stare tutta ed io vi invito fervidamente all’acquisto ed all’ascolto, quantomeno perché sarà certamente un’esperienza diversa dal solito, inusuale.
