Recensione: Into the Macabre

Di Alessandro Calvi - 22 Agosto 2004 - 0:00
Into the Macabre
Band: Necrodeath
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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82

Certo che ne ha vissute di vicissitudini questo album.
Fondatisi nel 1984, i Necrodeath realizzano in breve tempo un demo-tape intitolato “The Shining Pentagram” che gli vale un contratto. Nel 1987 realizzano quindi “Into the Macabre” e nel 1989 “Fragments of Insanity”, ben presto però arrivano i primi problemi all’interno della band con la sostituzione di alcuni musicisti e diverse divergenze con la label di allora. In breve la band si scioglie e solo quasi dieci anni dopo, nel 1998, due dei membri fondatori Peso (batteria) e Claudio (chitarre) riescono a far risorgere i Necrodeath dalle proprie ceneri con una nuova line-up. Si fa subito viva la Scarlet Records che li mette sotto contratto e la prima uscita di questa band rediviva è la riedizione di “Into the Macabre”.

Ascoltando questo pezzo di storia si capisce subito perchè l’etichetta abbia fatto la corsa per riuscire a mettere sotto contratto la band ligure e perchè tanti nomi anche tra le storiche band black del nord-europa, parlino dei Necrodeath come di uno dei gruppi che gli sono stati più d’ispirazione. E non potrebbe essere da meno, dato che il genere che suonano è un ibrido tra thrash, black e death, una miscela di violenza e melodia che conquista l’ascoltatore fino dalle prime note e che al tempo della prima uscita del disco aveva ben pochi epigoni nel mondo.

L’album si apre con “Agony / The Flag of the Inverted Cross”, l’introduzione del pezzo (Agony) è delegata a una dolce melodia suonata da un carillon, si tratta del “Lago dei Cigni”. Un brano dolce e tristissimo che però in questo caso assume toni decisamente più inquietanti. Il suono cristallino sfuma e viene subito sostituito da un riff granitico e graffiante in pieno stile Necrodeath che dopo poco viene supportato dal rullo compressore della batteria e dalla voce. Gran parte del sound della band ligure si trova riassunta in questo primo brano: riff taglienti e batteria indiavolata, ma anche sapienti e vari cambi di tempo, assoli di marca thrash anni ’80 e una voce che svaria da un caratteristico scream a un growl narrato molto profondo.
Già dal titolo “At the Mountain of Madness” si presenta per quello che è: un omaggio al solitario di Providence, forse il maggiore scrittore horror di sempre, H.P.Lovecraft. In questo caso i Necrodeath si sono ispirati a uno dei racconti lunghi dello scrittore americano risalente al 1931, una storia ambientata sotto i ghiacci del polo tra le rovine di una città più antica dell’umanità stessa e ancora abitata da orribili e pericolosissime creature.
“Mater Tenebrarum” è secondo me il brano più bello del disco, non è un caso se per molto tempo sia stato uno dei cavalli di battaglia del gruppo ligure, a impreziosire ancora di più questo piccolo gioiello inoltre troviamo nella parte centrale anche un brano recitato in latino.
La successiva “Necrosadist” è una delle canzoni più veloci e violenti del disco, una canzone senza compromessi come lo sono spesso quelle di questa band. Una cosa curiosa che merita di essere fatta notare è che all’atto dello scioglimento della prima incarnazione dei Necrodeath, Peso, il batterista, fondò una nuova band che portava proprio il nome di Necrosadist, in seguito, quando il musicista lasciò la band, questa cambio nome nel più semplice Sadist.
È difficile trovare l’occasione di parlare di una canzone lenta nella discografia dei Necrodeath, l’inizio di “Internal Decay” però potrebbe quasi giustificare questo discorso. Pur sempre senza che la batteria o le chitarre rallentino mai neanche un istante, con questa canzone, il gruppo ligure realizza un brano più cupo e introspettivo, per certi versi più evocativo, rispetto agli altri.
Così come il disco era iniziato, così giunge a termine, è con la violenza di l’estrema velocità di “The Undead” che le composizioni dei Necrodeath vanno infine spegnendosi, e così come era accaduto all’inzio, mentre gli strumenti lentamente tacciono, emerge la dolce e tristissima melodia del “Lago dei Cigni” suonata da un carillon.

Se una critica può essere avanzata a questo piccolo gioiello della produzione musicale nazionale, è sicuramente inerente alla produzione. In effetti non sarebbe stato lecito aspettarsi poi troppo visto il periodo e le condizioni in cui venne registrato, ma non si può fare a meno di notare la poca incisività del sound del disco. I suoni sono ovattati e il rumore di fondo è spesso fastidioso, così come il bilanciamento degli strumenti non è sempre ottimale, ma sono tutte piccole pecche su cui è facile chiudere un occhio.

Per concludere si tratta del primo album di una delle band storiche del nostro paese. Un album e un gruppo che hanno fatto storia e hanno, con il proprio esempio, influenzato molte tra le più affermate realtà dell’ambiente estremo di oggi. Un disco da avere per tutti i fan dei Necrodeath e per tutti coloro che ascoltano musica estrema, questo è un gran disco.

Tracklist:
01 Agony / The Flag of the Inverted Cross
02 At the Mountain of Madness
03 Sauthenerom
04 Mater Tenebrarum
05 Necrosadist
06 Internal Decay
07 Graveyard of the Innocents
08 The Undead / Agony (reprise)

Alex “Engash-Krul” Calvi

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