Recensione: Into the Storm

Di Stefano Ricetti - 8 Marzo 2014 - 0:01
Into the Storm
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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69

Integrità metallica. E’ un concetto che evidentemente continua strenuamente a vivere in quel delle terre germaniche – anche da Noi non si scherza, sia chiaro! -, e non costituisce per nulla una novità, casomai una conferma, come ad esempio quelle ricevute in questo inizio 2014 da parte di Primal Fear, Stormwarrior, Iron Savior e Metal Inquisitor. Ognuno a proprio modo, all’interno del personale ambito siderurgico fatto musica. In tale situazione non può di certo essere da meno Axel Rudi Pell da Bochum, venticinque anni di carriera Hard sul groppone con la band omonima senza sentirli particolarmente, uno che con la purezza di un bambino più volte ha dichiarato che anche gli Ac/Dc non hanno mai cambiato il Loro stile e quindi perché mai dovrebbe farlo proprio Lui, l’ex Steeler?

Puntuale all’appuntamento come ormai ci ha abituato nell’ultima parte della sua carriera artistica, il buon Pell sforna l’ennesimo nuovo album, intitolato Into the Storm e corredato dell’immancabile copertina fantasy  teschiata, nella fattispecie realizzata da Martin McKenna.  

Squadra che vince non si cambia, vero? Più o meno, visto che per l’occasione la Axel Rudi Pell band rispolvera Bobby Rondinelli – Rainbow, Black Sabbath, Rondinelli, Blue Oyster Cult, Doro – alla batteria al posto del defezionario Mike Terrana, che abbandona la nave dopo ben quindici anni – mai come in questo caso in linea con la copertina del disco – per meri motivi di impegni presi precedentemente con Tarja Turunen. Nessuna litigata, quindi, semplicemente il drummer è approdato verso lidi laddove il mercato e la remunerazione tirano di più. 

Il resto della line-up si mantiene stabile, con il fenomenale Johnny Gioeli – uno dei migliori interpreti hard rock della storia – dietro al microfono, Ferdy Doernberg alle tastiere e Volker Krawczac al basso.  

Axel e soci si confermano pure nell’intro, antipasto obbligatorio per ogni Loro uscita, The Inquisitorial Procedure, il nome della strumentale, in questo caso. La prima, vera canzone, Tower of Lies – miracolo! miracolo! – mostra una variazione rispetto ai dischi precedenti: il suono della chitarra di Pell ha quel tocco di zanzaroso che rappresenta l’incredibile inedito di Into the Storm! A parte gli scherzi, per il resto niente di nuovo sul fronte occidentale, la successiva Long Way to Go perpetua la sempiterna lezione aus Bochum.   

Il biondo axeman è uomo cresciuto a wurstel, crauti e Hard anni Settanta: Burning Chains rappresenta il richiamo evidente ai Deep Purple di Burn, poi è la volta dell’immancabile lentazzo di turno: When Truth Hurts. Bella la galoppata metallica espressa in Changing Times, ancora un tuffo nei magici Seventies a opera di Touching Heaven, sponda Led Zeppelin. Scorre la rainbowiana High Above, a seguire la sbiadita, poco graffiante e totalmente inutile cover di Hey Hey My My di Neil Young. Certi monumenti dovrebbero davvero rimanere immuni da qualsivoglia versioni alternative, al di là del nome di chi vi si cimenta, c’è poco da fare… 

Ancora ZoSo nella parte iniziale della title track, a chiudere il disco, poi seguito epicheggiante in favore di quanto lasciato in eredità da Ronnie James Dio. Johnny Gioeli grandissimo, come sempre, sapientemente accompagnato dalle tastiere di Doernberg.         

Booklet di dodici pagine con tutti i testi – tranne quello di Hey Hey, My My – contenente le foto ritoccate dei cinque componenti la band.   

Maestro della NON innovazione, in Germania Axel Rudi Pell rappresenta da lustri un punto fermo della musica dura, tanto che al prossimo Bang Your Head Festival verrà abbondantemente festeggiato il venticinquesimo anniversario della band con tutti i crismi, per oltre tre ore di concerto, compresa la presenza di alcuni altri ex Steeler. Chi ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo, in Italia, nel 2005, sa di che cosa si sta parlando…     

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

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