Recensione: Itch You Can’t Scratch

Di Vito Ruta - 4 Luglio 2021 - 14:40

Capitanati da Rob Wylde, cantante dei Tigertailz, risposta gallese coeva al glam/hair metal imperversante oltreoceano dagli inizi degli anni ottanta, i Midnite City giungono con “Itch You Can’t Scratch’” alla terza uscita discografica. Insieme al biondissimo singer completano la formazione l’esperto batterista Pete Newdeck, il chitarrista Miles Meakin, il bassista Josh Williams e il tastierista Shawn Charvette.
Le novità non riguardano né il mood, né produzione e missaggio, confermati rispetto al passato, bensì management ed etichetta, con passaggio dalla AOR Heaven alla teutonica Roulette Media.
Dal punto di vista musicale, pertanto, nulla di nuovo o di innovativo all’orizzonte: l’album può essere catalogato sotto la dicitura “Nostalgia anni 80”.

I brani che compongono “Itch You Can’t Scratch’” però, complice la recente e si spera definitiva uscita da un periodo che non può essere definito felice per nessuno, risultano (tranne le eccezioni di cui si dirà) dotati di immediatezza e irresistibile freschezza che conquistano. Grazie alla forza catartica che possiede, il set si candida, pertanto, a diventare colonna sonora, per gli amanti del genere, della stagione estiva appena iniziata.
Il disco si apre con due pezzi di grande impatto, dalle sonorità rese assolutamente attuali da pochi sapienti accorgimenti tecnici e da interventi alle tastiere particolarmente ispirati da parte di Charvette: “Crawlin’ In The Dirt”, eccessivo e trascinante, e “Atomic”, che richiama espressamente Def Leppard e Poison. Entrambi con refrain di istantanea assimilazione e cori androgini da leccarsi le dita, i brani scorrono come birra gelata, bevuta a canna, dopo una giornata passata sotto un sole spaccapietre su una spiaggia orfana dell’ombra di un bar.
Con “Fire inside”, “Darkest Before The Dawn” e “I Don’t Need Another Heartache” si respira a pieni polmoni aria di anni ottanta.
Melodie a piene mani in questo trittico, ispirato dallo stile e dalla produzione di Bret Michaels e soci, d’accordo, ma che non si risolve in copie stantie e svogliate di pezzi altrui, risultando, invece, dotato di personalità, effervescenza ed efficacia.

A questo punto sorge spontanea una domanda: “E la ballad?”. Un revival anni ottanta senza ballad sarebbe come un Alexander (cocktail all’epoca quasi più popolare della Sig.ra Ciccone), senza noce moscata.
Tranquilli.
Elettrica, nervosa e dalla tematica gotica, la ballad c’è ed è intitolata “They only came out at night”, introdotta e conclusa da una cantilena di voci infantili, sulle note di un solo apparentemente innocuo carillon.
Il pezzo avrebbe potuto egregiamente sostituire “My Sharona” dei The Knack nel trailer di presentazione di “Notte Horror”, celebre contenitore cinematografico (ripescato e riproposto recentissimamente) che inquietava le afose notti estive ottantiane. A proposito di pellicole d’orrore il video di “They only came out at night” è un cortometraggio, della durata di poco più di nove minuti, in cui una ignara coppia, ricevuto un misterioso invito, si reca in una sontuosa villa che appare deserta, e si imbatte, curiosando, in una music box che, imprudentemente azionata, evoca l’esibizione dei Midnite City in versione vampiresca.

Rivelo, senza dissimulare la feroce gioia di fare spoiler, che dopo un concitato, quanto inutile, tentativo di fuga i due protagonisti divengono la portata principale del party dopo concerto.
Tornando all’album, seguono l’AOR classico di “Chance of a lifetime” e “If it over”, ballad più canonica per stile e contenuto (storia d’amore/cuore spezzato), che, però, dopo le abbondanti emozioni già dispensate, sono brani destinati ad essere relegati nella più assoluta ordinarietà.
Chiude il lavoro “Fall To Pieces” che, sebbene caratterizzata da un chorus vivace ed orecchiabile, non riesce a fare grossa presa.

Nonostante la flessione qualitativa che interessa le ultime tre composizioni dell’album (con irrimediabile abbassamento della media complessiva) il giudizio sul lavoro rimane positivo.
Se la voglia di matita per make-up e di capello cotonato non vi ha mai davvero abbandonato “Itch You Can’t Scratch’” costituisce una buona occasione per levarsi lo sfizio e rivivere i fasti del passato.

 

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