Recensione: La sposa del tempo

Di Damiano Fiamin - 25 Marzo 2013 - 21:58
La sposa del tempo
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
67

Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme. Nomi importanti, araldi blasonati di un movimento musicale che è riuscito a imporsi all’attenzione internazionale sin dagli ormai lontani anni ’70. Pietre miliari, di certo, grazie a cui ancora oggi il progressive italiano è visto come un modello sia nel nostro paese sia all’estero. Proprio a questo modello si ispirano i ferraresi Marchesi Scamorza che, con questo La sposa del tempo, tagliano l’ambito e sudato traguardo dell’esordio discografico.
Poiché parliamo di un gruppo esordiente, è d’uopo una breve introduzione che permetta a chi legge di farsi un’idea del soggetto di cui si parla. Il quintetto è attivo sin dal 2009, anno in cui artisti con alle spalle disparati background musicali decidono di congiungere i loro sforzi all’interno di un progetto comune. La prima formazione della band parte con l’obiettivo di realizzar un progressive di alto livello partendo dalle basi e facendosi, nel contempo, le ossa; i nostri iniziano a prendere slancio per raggiungere la meta riproponendo brani della già succitata PFM e di Fabrizio De André. Dopo qualche piccola scossa di assestamento, nel 2011 pubblicano il loro primo EP, “Sentieri di Carta”, album che può considerarsi il vero e proprio trampolino per quanto ci accingiamo ad ascoltare adesso.

Molteplici sono le influenze che ribollono nel calderone creativo dei nostri: oltre ai grandi nomi che hanno contribuito a rendere grande il nostro paese, troviamo anche a qualche Nume tutelare straniero, come gli Yes e i primi Genesis. Di sicuro, una premessa mica male, ma non dimentichiamoci che tali nomi sono un fardello pesante da portare e che non sono pochi gli epigoni che sono rimasti schiacciati da paragoni troppo frettolosi e mal ponderati. Sarà questo il caso? Come sempre, la cosa migliore è cercare di procedere con un’analisi quanto più possibile scevra da pregiudizi e basarsi solamente su quanto si ha realmente davanti, senza farsi influenzare da sovrastrutture di altro tipo. Arriva dunque il momento di procedere all’analisi del prodotto finito: vediamo cosa si nasconde dietro il bizzarro monicker con cui i cinque hanno deciso di battezzare la loro creatura musicale.

A metà strada tra Dalì, De Chirico e l’AOR anni ottanta, l’onirica copertina è una summa completa dell’intero album. Facendo attenzione ai dettagli, ci accorgiamo che è un riassunto iconografico non solo di quanto è contenuto all’interno delle tracce, ma anche di tutto quello che si trova intorno a esse come, ad esempio, le caratteristiche proprie dei musicisti che le hanno composte. Una presentazione grafica interessante che, però, racchiude al suo interno un libretto dal contenuto quantomeno minimale. Largo all’immaginazione, dunque! E che nessuno si spaventi di iniziare questo viaggio giacché, fin dalla sua nascita, immaginifico è sempre stato l’aggettivo che meglio si è adattato al prog rock.

Sin dai primi minuti in cui cominciamo a essere avvolti dalla musica della band, capiamo che i paragoni formulati all’inizio non sono completamente campati in aria: i brani contenuti all’interno de La sposa del tempo sono ben radicati nella gloriosa tradizione del progressive nostrano, pur non limitandosi semplicemente a reiterare schemi già sperimentati con successo da altri. Preparatevi quindi a fraseggi armonici intricati e melodie pulite, in un connubio interessante e davvero “italiano”. È quello della nazionalità l’aggettivo che, a mio avviso, condensa nel migliore dei modi quanto si riversa nella nostra stanza durante l’ascolto: italiana è, infatti, la matrice prog su cui si lanciano i musicisti e su cui intessono le proprie scorribande musicali, ma italiana può di certo essere definita anche quella categoria di rock che funge da contraltare alle trovate più articolate e che alleggerisce l’esperienza dell’ascoltatore grazie a inserti ai limiti del pop. Alternando brani più intricati a passaggi più ariosi e lineari, il combo di Ferrara tenta di realizzare una proposta musicale decisamente audace, in cui si fondono elementi che, evidentemente, rispecchiano le varie scuole presso di cui si sono formati i gusti dei componenti del gruppo.

Pop-prog? Una dicotomia impossibile e azzardata? In molti avranno storto la bocca ma, per chi scrive, le etichette sono utili unicamente quando attaccate su una maglietta; l’importante è il risultato finale. I Marchesi Scamorza confezionano un debutto ben realizzato, pulito e ben suonato. Sebbene alcune scelte stilistiche siano più semplici e orecchiabili di quanto ci si potrebbe aspettare, di certo ciò non avviene per pigrizia o incapacità tecnica quanto, piuttosto, per rispondere a una strategia artistica ben precisa.
Se pensate che un disco prog abbia ragione di esistere unicamente se composto da due tracce di venti minuti ciascuna, rimarrete probabilmente delusi da La sposa del tempo. Se, invece, avete voglia di ascoltare musica intelligente costruita in maniera “facile”, i cinque ferraresi potrebbero avere qualcosa per voi.
Speriamo che, in futuro, i nostri riescano a dare ulteriore corpo alla loro offerta, personalizzando maggiormente i tratti distintivi che li caratterizzano. L’inizio lascia ben sperare.

Damiano “kewlar” Fiamin

Ultimi album di Marchesi Scamorza