Recensione: Left For Dead

Di Stefano Ricetti - 17 Ottobre 2008 - 0:00
Left For Dead

In un momento storico come quello attuale, dove abbondano le reunion delle band anni Ottanta e il ritorno alle radici musicali dei veri generi sembra aprire nuove – per modo di dire –  vie al Metallo, non stupisce più di tanto che anche i Laaz Rockit tornino all’assalto diciassette anni dopo il loro ultimo full length intitolato Nothing’s Sacred, del 1991, non calcolando il live Taste of Rebellion dell’anno dopo. Evidentemente la solida prova on stage fornita allo scorso Keep It True, seguita al tour americano originato dal come-back per il concerto a favore di Chuck Schuldiner e  – dell’allora malconcio – Chuck Billy, è riuscita a far tornare la voglia di scrivere del vecchio, buon Thrash ai cinque di Berkley. Della line-up classica manca solo il bombardiere Victor Agnello, sostituito da Sky Harris, il resto è Laaz Rockit al 100%, a partire dalle due killer axe Aaron Jellum/Phil Kettner, passando per lo storico singer Michael Coons e arrivando al bassista Willy Lange.

I Laaz Rockit sono sempre stati un gruppo molto stimato, proprio perché il vero successo non ha mai a Loro arriso, e tutto il rispetto che si sono conquistati se lo sono sudati sul campo senza ricevere regali da nessuno, rimanendo sempre fedeli alla linea, mai concedendosi ai trend del momento. Uno status che permette ai Nostri di suonare quello che più piace senza dover inchinarsi alle logiche del music biz. Proprio per questo l’anno in corso regala ai fan del caro, vecchio e sano Thrash un album d’altri tempi come Left For Dead.

Fin dalla inequivocabile Brain Wash posta in apertura – un pezzo che fin da subito non lascia scampo ed è classic Bay Area puro Laaz Rockit al 100% – il disco si sviluppa su trame consuete per la band, che di sicuro non deluderanno i die hard fan di un genere che probabilmente non morirà mai, visto anche il proliferare di nuove leve che si dilettano nell’inneggiare musicalmente eroi oscuri come gli stessi Laaz Rockit ma anche Forbidden e Abattoir. Erased chiama all’appello gli amici e compagni Testament, così come Turmoil; My Euphoria è fresca come se fosse stata scritta nel 1982, tanto che probabilmente si fregia del titolo di highlight dell’album. Ghost In The Mirror e Desolate Oasis mostrano il lato più intimista dei californiani, dimostrando che oltre a pestare duro Coons & Co. sanno anche scrivere ottimi pezzi di bel Metallo tout court. No Man e la strumentale Outro chiudono in bellezza, all’insegna della più efferata consuetudine, i cinquanta minuti di musica forniti, suddivisi in dieci canzoni.  

Non bastano di certo alcuni riferimenti modernisti a la Pantera/Machine Head all’interno dell’accoppiata Delirium Void/Liar a scalfire la connotazione straclassica del massiccio Left For Dead, che non varrà un City’s Gonna Burn ma che scorre poderosamente e odora anni Ottanta da far schifo – in senso buono, eh? – grazie anche a una produzione metallarissima che mette in pole position le sapienti e implacabili chitarre firmate Jellum/Kettner, in piena tradizione Laaz Rockit.      

Stefano “Steven Rich” Ricetti

Tracklist:
1. Brain Wash
2. Delirium Void
3. Erased
4. My Euphoria
5. Ghost In The Mirror
6. Turmoil
7. Liar
8. Desolate Oasis
9. No Man
0. Outro

Line-up:
Michael Coons – voce
Aaron Jellum – chitarra 
Phil Kettner – chitarra 
Willy Lange – basso
Sky Harris – batteria