Recensione: Legion Of The Grave

Quando capita di trovarsi tra le mani un album intitolato “Legion Of The Grave” realizzato da tali Rising Steel, anche senza conoscere la band, sapremo già che non ascolteremo certamente nè AOR né tantomeno rock alternativo. Come facilmente immaginabile, il quintetto francese infatti, si dedica ad un metal classico influenzato dalla NWOBHM e dall’US power che punta molto su brani d’impatto.
Provenienti da Grenoble, nel sud-est della Francia, i Rising Steel, debuttano sul mercato con l’EP “Warlord” seguito dal full length “Return Of The Warlord” due anni più tardi. Iniziano così, a far conoscere il loro nome, grazie anche alla possibilità di dividere il palco con Annihilator, Nightmare, Jaded Heart, Sister Sin, ADX e Nashville Pussy. Nel frattempo riescono ad attirare l’attenzione della Frontiers Music con la quale pubblicano gli album “Fight Them All”, “Beyond The Gates Of Hell” ed il nuovo “Legion Of The Grave”.
Per questa nuova uscita, i Rising Steel puntano ad avere una produzione di quantità, e si affidano ad una squadra di professionisti di una certa esperienza. Dopo essere stato registrato in Francia, il disco è stato spedito in Svezia, per essere mixato da Staffan Karlsson e Rickard Bengtsson, nomi già noti per aver firmato i lavori di Meshuggah, Arch Enemy, Firewind, Opeth e Spiritual Beggars. Ancora un passaggio presso i prestigiosi Finnvox Studios in Finlandia, per gli ultimi ritocchi da parte della mano esperta di Mika Jussila (Stratovarius, Battle Beast, Nightwhish, Gamma Ray, Edguy), ed ecco che il disco è bello e pronto per la fine di agosto 2025.
La copertina raffigurante un guerriero vichingo/barbarico con un cimitero sullo sfondo, ci fa capire che, anche su questo lavoro, non ci sia niente di nuovo sotto il sole (o in mezzo alle tenebre, fate voi). Il metallo muscoloso e massiccio è ancora il pane quotidiano con cui i Rising Steel continuano a sfamare i loro fan. La grande abbuffata metallica inizia con “Betrayer“, una traccia schiacciasassi, anche se non proprio impeccabile, complice un ritornello che appiattisce il pezzo invece di farlo esplodere come dovrebbe. Le cose migliorano con “King Of The Universe“, dove le idee paiono essere state elaborate con più cura. “Black Martin” inizia con un incedere doom, e viene interpretata dal cantante Emmanuelson con epica enfasi. Nella seconda parte del pezzo poi, arriva un accelerazione talmente prevedibile che pare telefonata.
La vivace title track, si destreggia tra chitarre taglienti ed un cantato con sporadici passaggi in growl.
Il disco procede senza troppe sorprese alternando heavy classico ad incursioni in territorio speed/thrash. Nonostante le soluzioni proposte abbiano un retrogusto di già sentito, e non manchino alcuni episodi un po’ più sottotono, il combo transalpino riesce comunque a ricavare qualcosa che lasci un buon sapore.
Si susseguono così le epic-classiche “Venomous” e “Nightmare“, per poi passare alle bordate al limite del thrash di “Messiah Of Death“, in cui spuntano dei richiami ai Nevermore.
Nella cupa “Dead Mind“, i Rising Steel pescano ancora dal power statunitense andando, in un paio di occasioni, a strizzare l’occhio ai Metal Church.
Ci avviamo verso le battute finali, con la band francese che riesce a piazzare ancora qualche buona trovata con “Trapped In A Soul’s Garden” e la maideniana “Night Vision“.
I Rising Steel non si perdono in sottigliezze, e colpiscono duro proprio come il guerriero ritratto in copertina.
Senza fare troppi sforzi, i cinque francesi riescono a realizzare un album compatto e potente che saprà farsi piacere, anche se solo da una determinata fetta di pubblico.
Quello che però, pare mancare alla band, è un po’ di personalità, una qualche piccola iniziativa che dia alle canzoni quel sapore in più. Anche se il risultato finale è abbastanza soddisfacente, non di rado si ha la sensazione di stare ascoltando le canzoni di qualcun’altro.
A conti fatti possiamo parlare di “Legion Of The Grave” come di un lavoro riuscito. Magari non raggiungerà elevati picchi qualitativi, ma non evidenzia nemmeno particolari lacune che possono decretarne una bocciatura.
Ed obiettivamente, per questa volta, può anche bastare.