Recensione: Lethal Injection

Di Eugenio Giordano - 10 Agosto 2004 - 0:00
Lethal Injection
Band: Beholder
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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55

Il terzo disco dei milanesi Beholder è arrivato sugli scaffali dei negozi già da qualche tempo e ha suscitato una vasta gamma di reazioni da parte degli addetti ai lavori e degli osservatori più fedeli della scena di casa nostra. Mi scuso per il ritardo con il quale mi accingo a scrivere questa recensione ma volevo riflettere un poco più profondamente su questo nuovo “Letal injection”.

Credo di rompere una porta aperta dicendo che la copertina di questo disco è una delle più brutte della storia, non solo non trasmette minimamente l’idea di un platter heavy metal ma risulta pure equivoca, contraddittoria. In certi casi emblematici la copertina di un disco diventa una sorta di presagio e o di avvertimento rispetto al suo contenuto musicale, il caso dei Beholder calza a pennello. La band mosse i suoi primi passi alla fine del secolo scorso registrando tre demo molto interessanti, nel 2001 arrivò il meritato esordio “The legend begins”, un bel disco di power metal dai tratti crescenti che si rifaceva alla tradizione tedesca e chiamava in causa il sound di ottime band come i Gamma Ray e gli Iron Savior. Nulla di innovativo, non c’è dubbio, ma rimango dell’idea che quel primo passo discografico venne compiuto con grande merito da questi ragazzi. Il brillante binomio di voci maschili e femminili si rivelò un asso nella manica dei Beholder e gli consentì di spiccare al di sopra della media delle band power italiane del periodo. Da qui in poi la carriera della band ha preso una direzione francamente di difficile comprensione, alla ricerca di una evoluzione perseguita con insistenza credendola la vera chiave di volta per il successo. Il secondo “Wish for destruction” si muoveva su canoni ibridi, particolari, tentando una fusione di stili e una rielaborazione generica degli elementi sonori della band, per esempio le chitarre ritmiche e le tastiere. Ne venne fuori un lavoro disomogeneo, messo a fuoco in modo parziale, e la mia sensazione fu proprio quella di una volontà eccessivamente ostinata che ha spinto i Beholder a ritenere che il power metal degli esordi andasse modificato, evoluto ad ogni costo. Con il terzo “Letal Injection” i Beholder rincarano la posta in gioco e decidono per un ulteriore colpo di coda volto alla ricerca di un sound personale e indipendente che non possa venire etichettato in nessuna delle attuali tendenze sonore della nostra scena. Alla luce di un lavoro del genere viene spontaneo chiedersi cosa suonino i Beholder oggi, e quale sia il motivo di questo continuo cambiamento di stile disco dopo disco. La mia sensazione a questo punto e che la band non abbia molto le idee chiare sul proprio percorso sonoro, il terzo disco dovrebbe dare delle conferme mentre in questo caso aumentano solo i dubbi. Di critiche nei confronti dei Beholder ne ho sentite tante e credo che alla luce di un platter come “Lethal injection” non mancheranno nuove levate di scudi nei loro confronti.

Il nuovo disco è l’ennesimo parto dei New Sin Studios di Luigi Stefanini e per l’ennesima volta il lavoro svolto in quella notoria sede si è rivelato professionale e competitivo a livello sonoro. La direzione compositiva di “Lethal injection” spazia agilmente fra brani piuttosto corposi e veloci fino a pezzi rallentati dal tocco minore e malinconico. Nei quaranta minuti di durata del nuovo disco dei Beholder vengono attraversate una serie impressionante di atmosfere stilistiche che si alternano continuamente spiazzando l’ascoltatore tra un brano e l’altro. Questa scelta sicuramente assicurerà alla band milanese i complimenti di chi alla tradizione preferisce una continua voglia evolutiva ma senza dubbio, a chi ama sonorità più coriacee, una scelta di questo tipo apparirà azzardata e discutibile. Il punto centrale di tutta questa mia digressione è questo, sebbene la band dimostri una notevole, e invidiabile, ricerca compositiva comunque non rinuncia mai al ritornello catchy, o alla melodia portante easy listening. Il risultato è apparentemente innovativo, tuttavia fondamentalemente i pezzi di “Lethal injection” sono canzoni power metal ricoperte a dovere con vesti equivoche ma innegabili canzoni intimamente power e sinceramente poco rivoluzionarie. Alla luce di uno sforzo così pesante nel tentativo di dare alle stampe un disco come “Lethal injection” forse sarebbe stato più semplice, e magari più efficace, concentrarsi sul sound onesto degli esordi della band e puntare sulla composizione di pezzi coinvolgenti e piacevoli anche se non obbligatoriamente rivoluzionari. Comunque sia il nuovo disco è certamente l’opera con il maggiore potenziale commerciale mai sfornata dai Beholder e senza dubbio potrà essere apprezzata da un pubblico molto vasto che magari non sospetta nemmeno le origini della band in questione. Anche sotto il profilo live le nuove canzoni credo si riveleranno decisamente vantaggiose per la band milanese, in almeno due casi possiamo parlare di vere e proprie hit da proporre sui maggiori network di diffusione musicale magari accompagnate dal saggio impiego di video clip. Unite alle mie considerazioni iniziali credo che queste osservazioni avranno già fatto largamente riflettere i più coriacei metallari tra di voi e gli avranno già fatto venire qualche dubbio sulla reale consistenza artistica di “Lethal injection”.

Si comincia con l’intro “The overlook hotel” che subito introduce l’atmosfera terrificante del romanzo “The shinig” di Stephen King, irrompe immediatamente “Mr grady” un brano incalzante dove i duetti vocali di Patrick Wire e Leanan Sidhe generano subito un refrain efficace e coinvolgente, le chitarre ritmiche ossessive e claustrofobiche si aprono provvidenzialmente in un ritornello di presa immediata che ristabilisce l’ordine all’interno del brano. La successiva “No religion” si mostra nuovamente molto ricercata nelle strofe ma comunque viene affidata a una salda e sicura impostazione melodica che garantisce l’efficacia immediata del pezzo senza aggiungere nulla di realmente innovativo a quanto detto da molte altre band nel nostro metal italiano. Eccentrica e francamente poco coinvolgente “Blackout of mind” punta su strutture ossessivamente ritmiche che finiscono per appesantire eccessivamente la struttura del pezzo senza lasciare spazio al decollo di refrain vincenti. Con la seguente “Daydream” i Beholder mostrano di aver assimilato bene i canoni del power metal melodica di derivazione nordica riuscendo a fondere melodie portanti con buone strutture ritmiche, certo nulla di innovativo ma sono dell’idea che brani come questi, forti del binomio vocale dei Beholder, potrebbero invadere la maggioranza dei teleschermi dell’emisfero boreale minando seriamente alla salute economica di tante pop stars dei giorni nostri. L’ombra seducente del song writing eccelso di Olaf Thorsen si estende in “Everywhere I go” che con le sue strutture fluide ed elegantemente melodiche rimanda al primo capitolo discografico dei Vision Divine. Sarà una coincidenza ma la successiva slow tempo acustica “Far away” vede proprio nel bravissimo Roberto Tiranti, ex collega di Thorsen, l’interprete centrale delle atmosfere minori e soffuse di questo brano bellissimo. In questo caso il potenziale strettamente commerciale del pezzo è semplicemente milionario. Con “Stay” i nostri Beholder puntano su una architettura non particolarmente dinamica ma certamente convincente lasciando che il brano viva di una anima melodica di facile presa e abbastanza prevedibile. Si prosegue con la corale “Lay down the law” che però finisce per scadere in un refrain veramente banale e poco ispirato, di nuovo i nostri sei giocano tutto sulle melodie del ritornello senza raggiungere i risultati precedenti. La conclusiva title track si alterna in una prima parte decisamente aggressiva e convincente dove le chitarre ritmiche generano una struttura cambievole che porta comunque a bel ritornello crescente di chiaro stampo power metal. La seconda parte della canzone è affidata al pianoforte e alle linee vocali eccentriche di Wire che concludono il disco in maniera disorientante.

Senza dubbio “Lethal injection” potrà convincere in pieno i meno esperti e magari spingerli a credere che questa linea compositiva rappresenti realmente una valida alternativa al power metal italiano che tanto amavamo fino allo scorso secolo ma che ora d’improvviso si è trasformato in una trappola sonora per molte band. Innovativi, conciati con vestiti più trendy, sfoderando copertine ridicole o soluzioni sonore apparentemente rivoluzionarie a me i Beholder non me la raccontano giusta e spero che in futuro questa band badi molto più al sodo e alla sostanza.

1. The Overlook Hotel 
2. Mr. Grady 
3. No Religion 
4. Blackout Of Mind 
5. Daydream 
6. Everywhere I Go 
7. Far Away 
8. Stay 
9. Lay Down The Law 
10. Lethal Injection  

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