Recensione: Live in L.A.

Di - 14 Giugno 2002 - 0:00
Live in L.A.
Band: Death
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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85

Al momento della sua uscita, avevo letto in gran parte recensioni, che ne criticavano fortemente la qualità audio, la prestazione dei musicisti ed il valore in generale del lavoro.
Sinceramente, quando ascoltai per la prima volta “Live in L.A.”, fu in grado di esaltarmi come con pochi album, di farmi saltare sulla sedia; un suono grezzo e sporco, una registrazione chiaramente autentica e non ritoccata in studio, una velocità disumana….ed era proprio quello che cercavo!!
Si perchè da un live dei Death non vuoi la perfezione di ogni singolo suono, ma piuttosto la violenza e la cattiveria che i quattro riescono ad emanare in tutti i 72 minuti di quest’album.
Sono rimasto colpito dalla potenza che questo live riesce a sprigionare, pur avendo numerose imperfezioni nell’esecuzione dei brani, ma a chi cazzo importa se Chuck stecca qualche nota con la chitarra, l’importante è che non riesci a stare un attimo solo fermo mentre ascolti l’album. 

Una scaletta distruttiva, in grado di pescare ottime canzoni da quasi ogni album della discografia dei Death (l’unico escluso è “Spiritual healing”). La gente sotto il palco si scatena ogni volta che Chuck annuncia le canzoni, un Christy assolutamente migliore che in studio velocissimo ed impeccabile, non fa un errore con la sua doppiacassa.
I Death in questo “Live in L.A.” hanno un’attitudine eccezionale nel suonare tutto incredibilmente più veloce rispetto che su disco.

Ad aprire il disco ci pensa la grandiosa “The Philosopher”, carica ed esplosiva, con Richard ancora più distruttivo del mitico Gene Hoglan che suonava originariamente su “Individual thought patterns”.
A seguire la canzone “Spirit crusher”, estratta dall’ultimo album in studio del gruppo, suonata in maniera efferata e veloce, Chuck scarica un’ energia incredibile.
Altra canzone a stupire per la sua riproposizione in sede live, è la opener di “The sound of perseverance”: “Scavenger of human sorrow”. Christy è impeccabile in una maniera mostruosa, stupisce per la precisione, che definirei chirurgica.
A parole è veramente impossibile descrivere cosa riesce a scatenare l’ascolto di una “Crystal Mountain” o della grandissima “Flesh And The Power It Holds”, quindi consiglio veramente a chiunque di ascoltare molto attentamente tutto l’album vivendolo il più possibile in ogni singola nota.
Chuck non poteva certo escludere dalla scaletta una canzone come “Zombie Ritual”, canzone che lui stesso annoverava come la sua preferita. Riff semplici ma dall’impatto travolgente, fanno di questa canzone l’inno per eccellenza del dinamitardo e brutalissimo  “Scream Bloody Gore”.
Cambia completamente stile dal vivo “Suicide Machine”. Su “Human” aveva il ritornello fraseggiato in maniera un po’ atipica, dal vivo sono le vocals più crude e dirette a predominare.
Le quattro canzoni finali non hanno sicuramente bisogno di presentazione: “Together As One”, “Empty Words”, “Symbolic” e “Pull the Plug” sono fra i pilastri portanti di tutta la discografia del gruppo americano.

Credo che questo album possa essere considerata l’eredità che Chuck ci ha lasciato nella sua forma più pura e vera, senza  trovate tecnologiche di alcun tipo.

Francesco “madcap” Vitale

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