Recensione: Living On The Razor’s Edge

Di Daniele D'Adamo - 6 Novembre 2011 - 0:00
Living On The Razor’s Edge
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Anno: 2011
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77

Dolore.
Tanto dolore, quello che emerge dalle tracce di “Living On The Razor’s Edge”, terzo full-length del quintetto Dying Humanity ma primo fra essi a fregiarsi del titolo di concept album. Un dolore sia fisico sia psicologico, quello provato dalla protagonista del racconto; una donna alle prese con il degrado di una vita segnata dall’ipocrisia della gente, dagli abusi, dalle storie di droga, dai drammi familiari. Sino all’inevitabile, tragica conclusione. Una storia assai concreta, il cui andamento stride con quello della ricca anzi opulenta società moderna. Una storia che permea sino all’osso l’umore, tragico, posseduto dalla musica scritta dal combo tedesco. Il quale, nello sviluppo della sua proposta death metal, ha evitato di perdersi negli stereotipi tematici del gore per approfondire le discrasie dell’odierna organizzazione umana.
Encomiabile, almeno per ciò.

Death metal, s’è scritto. In effetti, di questo si tratta anche se, come spesso accade, le contaminazioni provenienti da altri generi non sono irrilevanti. Lo screaming di Marcus Dietzsch (abile ad alternarlo continuamente al growling), per esempio, avvicina spesso e volentieri il sound dei suoi compagni al black più misantropico; mentre le chitarre di Kai Siedel e di Simeon Keller, invece, arabescano volentieri gli spartiti con gli orpelli caratteristici del gothic metal. Il sound né troppo distorto né troppo compresso delle chitarre stesse, inoltre, può rimandare a certo swedish death metal, anche se la melodia, poi, non è così esasperata. A dispetto di tutto quanto, bisogna evidenziare che il mood cupo e malinconico che permea “Living On The Razor’s Edge” funge un po’ da collante, facendo sì che lo stile si mantenga omogeneo e abbastanza personale – pericolose, nel dettaglio, certe somiglianze ai Cradle Of Filth – , anche se non troppo innovativo.
Insomma, tenuto conto delle variegate influenze native dei Nostri, la loro creatura musicale è ben formata, matura. Del resto, in un solo lustro di esistenza, l’abbondante produzione discografica (comprendente, oltre ai tre full-length, anche un demo d’inizio carriera “The Orgin Of Dying Humanity”, 2006) e le oltre centocinquanta date in giro per l’Europa al fianco di gente importante (Vader, Krisiun, Necrophagist, Destruction, Belphegor, Unleashed, Caliban, Neaera) dimostrano che i Dying Humanity non sono un fuoco di paglia bensì una realtà concreta e ben consolidata. Ancora, a supporto di questa tesi, c’è l’investimento per la produzione di Jörg Uken presso il Soundlodge Tonstudio (God Dethroned, Dew Scented) e la realizzazione grafica, a cura di Gustavo Sazes (Krisiun, Arch Enemy); investimento senza dubbio mirato allo sviluppo delle idee di musicisti seri, preparati e professionali. Gli sforzi compiuti dall’act di Annaberg-Buchholz sia per la ricerca di temi meno scontati rispetto alla media, sia per la creazione di un sound articolato ma allo stesso immediato e inoltre facilmente riconoscibile hanno quindi avuto successo. “Living On The Razor’s Edge” scorre via senza intoppi, ben bilanciato fra le parti più brutali, che sono rilevanti (Danny Vanis spara bordate di blast beats a ripetizione…), e quelle più armoniche, pur’esse evidenti nei vari ritornelli o nei numerosi intarsi di chitarra solista e/o acustica.  

L’immancabile intro strumentale “Inception” è sì breve ma sufficiente a fare immergere i sentimenti di chi ascolta nel languore della malinconia. Il bel riff portante di “Blinded” si lega a quest’atmosfera di grigia tristezza, rotta dalle violente sfuriate del drumming di Vanis e dalle improvvise aperture melodiche delle sei corde. “Broken Home” si rivela un po’ meno cupa dei due pezzi precedenti, anche se la profonda anima dei cinque sassoni emerge sempre con decisione dalle brume di un cielo plumbeo. Spettacolare nella sua costruzione armonica, “Till The End”, rivela, forse, il gruppo nella sua espressione migliore e più rispondente al sentimento artistico che lo muove. Lento e veloce s’intersecano, i soli delle asce lacerano l’etere con struggente leggiadria, il growling di Dietzsch si lega perfettamente alle lente ritmiche del guitarwork, questi abbracciato dai tempi cangianti della batteria. “Outcast” è una bella mazzata fra capo e collo, con quegli squarci melodici tipici del songwriting del complesso mitteleuropeo. Ondate di blast beats per la ‘cradleoffilthiana’ “Abused”, poi, che cela al suo interno un break rallentato di buona fattura.
“Perception” funge da intermezzo acustico, quasi fosse un intro per la seconda parte dell’album. Il piglio drammatico dei Dying Humanity si fa quindi davvero spinto con le tonalità liriche della commovente “Welcome To The Abyss”. La tanto rapida quanto breve “Addicted” fa da cucitura per “Between Angel And Beast”, brano dal lieve incipit che, però, è preludio di un altro massacro sonoro, seppur controllato da una parte centrale addirittura heavy. Ancora una bomba: si chiama “Revenge And Murder”. Infine, una suite, “Clarity Of Mind”, che riassume un po’ lo spirito di tutto “Living On The Razor’s Edge”; soprattutto per quello che riguarda il concetto legato al mesto svolgimento della vita degli esseri umani.

Buon lavoro, questo, che manca solo di un che d’indefinibile in più, come scrittura delle canzoni, per essere – invece – un ottimo esempio di death metal moderno. La sensazione è, però, quella che si sentirà parlare ancora, dei Dying Humanity.
Bene, avanti così!
 
Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Inception 0:40
2. Blinded 2:43
3. Broken Home 3:44
4. Till The End 3:57
5. Outcast 2:40
6. Abused 3:13
7. Perception 1:20
8. Welcome To The Abyss 3:24
9. Addicted 2:28
10. Between Angel And Beast 3:23
11. Revenge And Murder 3:27
12. Clarity Of Mind 7:47        

Durata 38 min.

Formazione:
Marcus Dietzsch – Voce
Kai Siedel – Chitarra
Simeon Keller – Chitarra
Hendrik Wetzel – Basso
Danny Vanis – Batteria
 

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