Recensione: Low Tuned Output

Di Matteo Bovio - 9 Agosto 2004 - 0:00
Low Tuned Output
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Anno: 2004
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50

Dire che questo disco parta in maniera superba è poco, vista l’indroduzione angosciante, insana, col solo difetto di essere tirata un po’ troppo per le lunghe. Poi si parte con i veri contenuti, e iniziano i guai. Come si può intuire da monicker e artwork, quel che ascolteremo dai 10 Fold B-Low altro non è che moderno Metalcore. Evito di usare termini come Thrashcore o Deathcore, perchè il gruppo si muove in entrambe le direzioni, senza disdegnare arrangiamenti industriali o di derivazione Nu (per lo più in alcuni vocalizzi). Una scelta sonora che, sviluppata con la giusta potenza e vivacità, ha da regalare degli ottimi momenti. Cosa è mancato dunque?

Fondamentalmente sono mancate le idee. Il genere non richiede i salti mortali, ma un approccio molto diretto ed efficace, come quello di “Break Your Neck“: una traccia non impeccabile, ma trascinante e dal riffing immediatamente assimilabile. Con la successiva “Run” si spingono un po’ più verso la “pacchianeria”, con un riffing e una ritmica scontatissimi: ma nell’insieme, grazie anche a un ritornello dalla metrica del cantato particolare, anche questo episodio lascia un buon sapore in bocca.

Puntare su questa formula però stanca: aggiungete a questo il fatto che da qui in poi le idee si diradano e disperdono. Così arriva “Pain In Progress“, dal riffing insolitamente thrashoso, ma sporcata in apertura da una scelta vocale a dir poco banale, e in seguito dall’incedere scontato della ritmica e da un insieme di pacchianerie che, con un po’ di malizia, mi vien da considerare un contentino per il pubblico più Nu. Insomma, una leggera deviazione dal percorso tracciato dal cantato potente, dalla batteria lineare e dall’approccio, tanto per capirci, metal-oriented. E la necessità di aprirsi altre strade si fa ancora più evidente in “Left Alone“, dove l’alternarsi delle parti in pulito a quelle più aggressive fa scivolare il lavoro sul pericoloso terreno del già sentito e, in particolare, del banale.

L’apertura di “Bow Down 2 No 1” è la prova palese di come a questo punto le idee siano veramente dei vaghi concetti da sviluppare in qualsiasi modo, anche a costo di ripetere continuamente sè stessi. Quando arriva la necessità di essere potenti le chitarre cominciano a venir meno, giostrandosi sempre i soliti imbarazzanti giri, senza riuscire a star dietro alle necessità imposte da un suono così pompato. E siamo solo a metà dell’ascolto. Non è un caso che abbia scelto di parlare sequenzialmente delle prime 6 tracce, perchè il disagio maggiore deriva proprio dall’accorgersi di come Low Tuned Output sia un lavoro che procede in discesa, fino a far sprofondare nella noia l’ascoltatore.

Insomma, un album ben curato e dai suoni molto pompati, che però non possono fare la parte che spettava ai musicisti. Se le carenze non si sentono da subito (tolta l’indigestione che qualcuno potrebbe avere per il mischione di attitudine core e Nu), non si può non constatarle una volta superato il primo distratto ascolto. Concluderei considerando come la scena abbia offerto di molto meglio quest’anno: detto questo il mio consiglio vien da sè.
Matteo Bovio

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