Recensione: Mantra

Di Emanuele Calderone - 9 Marzo 2010 - 0:00
Mantra
Band: In Vain
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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83

A tre anni dal debut album “The Latter Rain”, ecco tornare in questo inizio
2010 gli In Vain con il loro secondo lavoro: “Mantra”.
Nati a Kristiansand, Norvegia, nel 2003, i cinque musicisti propongono un metal
dal carattere estremo, che incorpora al suo interno caratteri black, death e
progressive, i quali uniti tra loro danno vita ad una proposta interessante ed
originale. Al fianco di questi generi se ne accostano, in misura minore, altri:
tra questi quelli che maggiormente si incontrano durante l’ascolto sono il
country e il viking.

Rispetto al primo disco, in questo nuovo album si nota sin da subito una
decisa maturazione della band sia sotto il profilo tecnico che sotto quello
compositivo. “Mantra” si presenta molto più complesso ed articolato se
confrontato con il suo predecessore: il combo infatti mette in mostra una vena
progressiva che è diventata sempre più importante.
Se le strutture divengono più elaborate, per certi versi anche più eleganti e
prive di quelle ingenuità attribuibili alla gioventù, d’altra parte il quintetto
non rinnega l’anima più estrema della sua musica. Ciò si riscontra sia nei riff
serrati ed aggressivi che nel continuo utilizzo di scream e growl: questi si
accostano alla voce pulita ad opera del tastierista Sindre Nedland, che si
rivela il vero valore aggiunto.
Il disco, diviso in nove tracce, scorre via con grande piacere, catturando
l’attenzione dell’ascoltatore grazie a brani articolati ma diretti.
L’apertura dell’album viene affidata a “Captivating Solitude”, un brano di sette
minuti all’interno del quale si possono scorgere tutti gli elementi tipici della
musica del combo norvegese: un’intro strumentale molto atmosferica fa da
preludio ad un pezzo a cavallo tra viking, black e progressive.
Ottimo il cantato in scream ad opera di Andreas Frigstad, che duetta con Nedland,
in possesso di una voce calda ed estremamente gradevole. Le tastiere e le
chitarre tessono melodie pregne di malinconia e poggiano su una sezione ritmica
possente ma allo stesso tempo varia, che aiuta a rendere il brano più
convincente.
Su coordinate opposte si muove invece “Ain’t No Loving”, brano assai più
aggressivo, ben più vicino al death metal tecnico di “The Latter Rain”. Il
risultato è ancora una volta lodevole: i riff si susseguono uno dopo l’altro
senza lasciare un momento di respiro. Su di essi si muove l’aggressivo growl di
Frigstad, autore di un lavoro particolarmente convincente e ben eseguito.
La sorprese arrivano però all’ascolto di “Wayakin (The Guardian Spirit Of The
Nez Perce)”, nel quale, affianco alla consueta base a cavallo tra progressive e
metal estremo, si scorgono elementi del folklore americano che rendono la
canzone ancora più varia ed interessante.
Da citare sono ancora l’intermezzo “Mannefall” e la conclusiva “Wayphearing
Stranger”, entrambe votate al più puro country, che sebbene possano sembrare
fuori contesto, in realtà si legano perfettamente alle altre canzoni.
Il resto del platter continua a muoversi su coordinate alle quali si faceva
riferimento in precedenza, con vette qualitative piuttosto elevate come nei casi
di “On The Banks Of The Mississippi” e della splendida “Circle Of Agony”.
Per quanto riguarda i suoni, gli strumenti risultano ben udibili, con volumi
calibrati alla perfezione, che danno il giusto risalto all’operato di ciascun
musicista.

Tecnicamente non vi sono appunti da fare: il gruppo si dimostra solido ed in
grado di affrontare brani lunghi, con architetture complesse, senza mostrare mai
il fianco. Il full-length infatti, pur presentando virtuosismi di ogni sorta,
non scade mai in una fredda dimostrazione di tecnica strumentale.
Promossi. Promossi senza alcuna riserva. Alla luce dei fatti gli In Vain
rappresentano una delle migliori realtà all’interno del panorama del metal
d’avanguardia. Non ci resta che sperare che continuino su questa strada. Ma, se
hanno realmente imboccato la via giusta, sappiamo che nessuna direzione già
battuta sarà quella che sceglieranno in futuro. “Mantra” è una conferma, ma,
ancora di più, una promessa.

Emanuele Calderone

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Tracklist:

01-Captivating Solitude
02-Ain’t No Loving
03-Mannefall
04-On The Banks Of The Mississippi
05-Dark Prophets, Black Hearts
06-Wayakin (The Guardian Spirit Of The Nez Perce)
07-Circle Of Agony
08-Sombre Fall, Burdened Winter
09-Wayphearing Stranger
 

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